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    Messaggio Da APUMA Sab Set 01, 2012 2:14 pm

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    Alexander è un film storico del 2004 diretto da Oliver Stone sulle conquiste di Alessandro Magno e del suo dominio sulla Macedonia.

    Trama
    La storia inizia a Babilonia nel 323 a.C. con le immagini dell'agonia e della successiva morte di Alessandro. Egli muore lasciando cadere, dal suo letto, un anello. Poi le immagini si spostano nell'Alessandria di circa 40 anni dopo. Tolomeo, ora faraone d'Egitto, ricorda alla sua corte, dettando le sue parole allo scriba, la storia di Alessandro. Parla allora del ragazzo che crebbe a Pella, come figlio di Olimpiade e di Filippo, anche se non v'era uomo che vedendoli insieme, 'non s'interrogasse' sulla loro reale discendenza. Olimpiade lo tiene, da bambino, nella sua stanza come i suoi numerosi serpenti, e lo chiamava 'il mio piccolo Achille'. Gli insegna a trattare gli uomini come lei tratta i serpenti: se non fa attenzione gli si possono rivoltare contro e morderlo. Alessandro ad un certo punto assiste anche ad una lite tremenda tra la madre e Filippo, il marito, che era appena tornato dalla sua ultima campagna di guerra. Poi la scena cambia, Alessandro cresce e viene preparato alla lotta, assieme ad Efestione e a tutti gli altri che poi faranno parte della sua vita di condottiero. Egli anche diventa capace, in una memorabile giornata, di addomesticare il cavallo che condividerà la sua carriera di conquistatore: Bucefalo.
    Filippo ne è orgoglioso. Alessandro viene istruito sulle tragiche sorti degli antichi eroi dal padre in una visita alle catacombe, e sul timore di come la vita possa essere stravolta dagli dèi in ogni momento. Filippo gli dice anche per tutta la tua vita, guardati dalle donne. Sono molto più pericolose degli uomini. Sempre in quei tempi della sua infanzia, Aristotele a lezione teorizza la conquista del mondo esplorando le terre sconosciute, eppure dice anche ad Alessandro, che si chiede perché non conquistano la Persia, che l'Asia, aspirazione dei greci, è un luogo che fa perdere gli uomini che vi s'addentrano. 8 anni dopo Olimpiade vede la nuova moglie di Filippo arrivare, incinta, al palazzo. Ad Alessandro consiglia di prendere moglie prima di partire per l'Asia, assieme al padre, perché potrebbe avere così un figlio di razza macedone e diventare l'erede al trono, scalzando la concorrenza della prole di Euridice, la nipote di Attalo. Ma Alessandro non l'ascolta perché è innamorato di Efestione. Al matrimonio di Filippo con Euridice scoppia tuttavia una tremenda lite tra Attalo e Alessandro, come anche tra questi e Filippo, che lo bandisce dal suo regno e nega che sia suo figlio. Il tutto sotto lo sguardo della madre, che osserva silenziosa da una finestra. All'improvviso tutto cambia, con la morte di Filippo. La storia si sposta direttamente a Gaugamela, accennando appena alla conquista dell'Egitto (e ignorando la battaglia di Isso). Alessandro pone le sue condizioni e spiega il suo audace piano d'attacco ai generali, per la battaglia del mattino dopo: una serie di manovre per raggiungere con la cavalleria il centro dello schieramento e provare ad uccidere Dario, il re nemico. La notte vi è un'eclissi di luna, che tutti interpretano di cattivo auspicio. Il giorno dopo, i Macedoni marciano verso il loro destino. Alessandro, dopo aver sacrificato un toro agli dèi, arringa i suoi uomini. Le sarisse vibrano nell'aria e gli scudi vengono percossi ad ogni esclamazione. Alessandro parte alla carica, mentre Dario, considerato mandante dell'assassinio del padre, osserva indifferente, al centro dello schieramento e attorniato dai suoi 10000 immortali. Il re persiano manda Besso con la cavalleria pesante all'attacco, per circondare Alessandro, mentre fa sparare frecce a nugoli contro la falange in avanzata. Tutto sembra procedere bene, ma i carri da guerra -seguiti dalla fanteria- che avrebbero dovuto dare il colpo di grazia allo schieramento nemico, vengono fermati dalle falangi, che poi continuano nella loro avanzata massacrando i fanti persiani, i quali sono meno organizzati e attaccano in ordine sparso.
    Alessandro, con una memorabile cavalcata, elude Besso e nel polverone alzatosi attacca il centro dello schieramento. A quel punto, si avvicina molto allo schieramento avversario e quasi resta ucciso dallo scontro con alcuni nemici, salvato solo dai suoi eteri, compagni della cavalleria, come Clito, Efestione e Tolomeo, che smontati da cavallo, lo proteggono da ogni lato. Alla fine Alessandro raggiunge, in un caos incredibile, il re Dario e mancatolo di poco con un giavellotto lo mette in fuga. L'esercito è in rotta, ma anche l'ala sinistra comandata dal vecchio e saggio Parmenione, quello a cui Alessandro il giorno prima aveva detto "lo farei (ritirarmi) se io fossi Parmenione, ma sono Alessandro e come la Terra non ha due soli, l'Asia non conterrà 2 re", sta cedendo, troppo debole com'è stata lasciata per rinforzare le altre ali dello schieramento (i Persiani, pare, superassero di oltre un chilometro le linee macedoni in estensione del loro esercito). Alcuni persiani sono arrivati anche alle salmerie. A quel punto Alessandro lascia perdere l'inseguimento e torna indietro a rafforzare l'ala sinistra. La battaglia è vinta. Mentre il sole cade all'orizzonte, Alessandro assiste, in un ospedale da campo improvvisato, alla morte del giovane Glauco, un soldato anonimo che morente, lo invoca, mentre un punteruolo lo colpisce alla nuca, per dargli il colpo di grazia. Alessandro piange alla vista della strage che quel giorno è stata fatta, per sua volontà, con gli avvoltoi implacabili che cominciano il banchetto, e i cui occhi vengono paragonati a quelli del re di Macedonia. A quel punto, con la sua ambizione è diventato, a 25 anni, Re del Mondo. Dopo la presa di coscienza del senso di quella immensa e sanguinosa battaglia, segue la trionfante entrata a Babilonia , con i Greci in parata e accolti dalla popolazione festante. Alessandro intuisce che tutte queste ricchezze porterebbero alla corruzione dell'anima, e ancora di più mentre osserva l'harem di Dario. Ad un certo punto arriva Statira, la principessa figlia di Dario che implora per la vita sua e della sua famiglia. Alessandro acconsente affinché venga trattata da principessa, come è il suo rango. I suoi generali non sembrano gradire. In seguito riceve una lettera dalla madre che lo sprona a sposarla e a svegliarsi perché i suoi compagni d'arme potrebbero rivoltarsi come serpenti, contro di lui, in ogni momento. Già vi sono complotti da parte di alcuni di loro, come Antipatro. Olimpiade vorrebbe che lui la invitasse a Babilonia per aiutarlo a mantenere il controllo della situazione. Alessandro parla con Efestione e gli confida il suo pensiero, alla luce della notte di Babilonia. Lui vorrebbe portare la libertà e la civiltà a tutte le genti del mondo, mentre i suoi generali sono intenti solo ad arricchirsi. Non è più questione di combattere o di conquistare. È un nuovo mondo da costruire. Parmenione gli aveva detto: "questo non era il piano di tuo padre" e Alessandro di rimando "e io non sono mio padre". È chiaro che i suoi compagni non riescono a capire l'idea di Alessandro, sono intenti a placare solo desideri ben più vili. Solo Efestione gli resta vicino. Lui e l'enigmatico Bagoa, "bellissimo" eunuco di corte. La caccia a Dario prosegue, fino a quando i suoi generali lo uccidono e lo fanno trovare da Alessandro. Ma lui decide di punirli per il tradimento del loro re e continua ad attaccarli. Arriva in Afghanistan orientale, in terre "mitiche" come la Sogdiana e la Battriana. "I nostri geografi dicono che qui si incontrano l'Asia e l'Europa. In realtà ci eravamo persi", il racconto che fa la voce fuoricampo di Tolomeo. Alla fine, in visita ad una tribù di montagna decide di sposare Rossane. Questo scatena una discussione micidiale con i suoi generali, per niente contenti di questa scelta. I suoi generali gli chiedono di smetterla di costruire città e strade in Asia. Vogliono tornare a casa. Loro vorrebbero anche "un erede macedone" come gli chiede Parmenione, e non figlio di una barbara. Ma Alessandro impone la sua volontà e se la prende soprattutto con Cassandro, che si crede migliore degli asiatici per pregiudizi ancestrali. Alla fine, dopo 10 anni di suppliche della madre per sposarsi con una macedone, avviene il matrimonio con Rossane, figlia di un capo tribù asiatico. La prima notte di nozze quasi si trasforma in un dramma perché Rossane scopre che Alessandro ed Efestione hanno una relazione. Ne segue una battaglia sul letto coniugale, ma alla fine Rossane cede e buttato via un pugnale che ha puntato alla gola del Gran re Sikander, fanno invece l'amore. Di lì a poco viene scoperto un complotto per avvelenare Alessandro. Nel complotto è coinvolto Filota, compagno da una vita di Alessandro e figlio di Parmenione, che viene processato, torturato e condannato a morte. Ma anche il padre, che non si sa sia coinvolto, viene fatto uccidere, una scelta non fatta a cuor leggero.
    Alessandro si consola dalle amarezze della vita e dei tradimenti, con l'eunuco Bagoa, silenzioso compagno che sembra avere sostituito Efestione, a poco a poco. Alessandro si ritrova ad osservare le montagne dell'Hindu Kush, così alte e fredde, senza attraversamenti possibili, come gli conferma Tolomeo. I due discutono sul da farsi. Alessandro chiede a Tolomeo dove vorrebbe andare a vivere una volta tornato e lui, con sguardo malizioso, ci pensa un po' e gli dice che vorrebbe vivere ad Alessandria d'Egitto, perché "almeno fa caldo". Alessandro invece non riesce a trovare la fine del Mondo e pensa che la morte sarà l'ultima conquista che farà, facendo silenziosamente preoccupare Tolomeo. Comunque accetta la sconfitta contro la Natura e sceglie di deviare verso sud, andando in India. Lì le piogge torrenziali e la foresta arrestano le speranze di una facile conquista, non meno delle tribù e dei branchi di scimmie aggressive. Poi inizia a piovere per 60 giorni e alla fine arrivano anche i serpenti. La pazienza, anche di persone fedeli come il generale Cratero, figura defilata ma fondamentale per la storia, comincia a vacillare. Ma peggio di tutto questo, avviene la lite con Clito, che rimprovera ad Alessandro, durante una festa, di avergli dato una satrapia tanto ad est da casa, a cui capisce non farà mai ritorno. Poi insiste dicendogli che non è giusto che lui accetti le genuflessioni dei sudditi e infine lo accusa di essere un tiranno che si circonda di servi asiatici. Sono tutti assai ubriachi e Alessandro alla fine, quando Clito nomina anche la madre, lo uccide con un giavellotto, preso da un attacco d'ira. È il dramma più nero, Efestione cerca di consolare Alessandro ma senza successo: dopo 3 giorni è ancora in uno stato confusionale. Teme che Clito abbia detto la verità e capisce di avere fallito nelle sue idee. Il pensiero corre a qualche anno prima, quando Alessandro e Filippo marciano insieme verso i giochi nuziali (della sorella di Alessandro) in una città greca. Là Filippo viene ucciso da Pausania, capo della sua guardia scelta. Alessandro, sconvolto per l'assassinio viene subito acclamato re. Il tutto sotto gli occhi compiaciuti della madre, che indossa un'elegantissima veste rossa. Dopo i funerali, Alessandro irrompe nella stanza della madre e le chiede, senza giri di parole, chi abbia ucciso il padre. Lei dice "Pausania". Non ammette nulla che la possa far sentire colpevole, e comunque il vero padre di Alessandro è Zeus, non Filippo. Alla fine raggiungono un sofferto accordo tra cui l'uccisione di Attalo, zio di Euridice. Ma Alessandro non avrebbe più rivisto, da allora, la madre. Si ritorna al presente. Alessandro, con i capelli lunghi e la barba incolta, arringa i suoi a continuare ad avanzare ad est. Cratero gli chiede di poter tornare a casa, perché loro sono uomini semplici e vorrebbero rivedere le proprie famiglie prima di raggiungere gli antenati nell'Ade. Alessandro gli dice ad un certo punto: "tu sogni, Cratero. La vostra semplicità si è perduta quando avete preso mogli asiatiche, vi siete arricchiti e innamorati di tutte le cose che distruggono l'uomo". Finisce con una ribellione soffocata nel sangue. La battaglia successiva, comabattuta ad Idaspe contro Re Poro, è il momento culminante dell'avanzata di Alessandro. Dalla giungla sbucano immensi elefanti da guerra, riccamente ornati, corazzati, e con numerosi guerrieri in groppa: è l'esercito di Re Poro che avanza contro la falange macedone, che viene massacrata. Intanto Alessandro arriva a combattere contro i fanti nemici, li sbaraglia e tenta di salvare la Falange. Ma i cavalli hanno paura ad avvicinarsi agli elefanti. Alessandro, solo e disperato, arringa i suoi macedoni e si lancia all'attacco del Re Poro. In una scena cardine del film, carica contro l'elefante del re, ma Bucefalo viene colpito a morte e lui stesso ferito gravemente. I suoi uomini lo vedono in azione, lo vedono cadere, si rianimano come una furia sovrumana e mettono in fuga gli Indiani: la battaglia dell'Idaspe è vinta per poco, ma Alessandro una volta guarito dalle ferite, decide che ne ha abbastanza e torna verso Babilonia. Sbaglia drammaticamente a sceglier la via più breve e molti muoiono, dopo essere sopravvissuti a tante battaglie, nel deserto. A Babilonia, Alessandro subisce la morte di Efestione, a causa, pare, del tifo. È presente quando muore, anche se quasi non se ne accorge, mentre parla di come le loro vite saranno belle negli anni a venire, di nuove spedizioni, anche contro Roma.
    Ma Efestione non può più seguirlo nei suoi sogni di gloria. Alessandro crede che a ucciderlo sia stata Rossane,che aspettava finalmente un figlio. Dopo la lite Alessandro si stava divertendo ad una festa quando, mentre ha addosso una pelle di leone(avendo molto bevuto) si sente male. Egli ha una tremenda malattia (dovuta al troppo alcool) e muore, circondato da spiriti e persone reali. In seguito alla sua morte, senza testamento, il mondo cade nelle guerre e divisioni ancora una volta. Solo Tolomeo, dopo tutti quegli anni, è sopravvissuto per raccontare la storia del grande Alessandro, ma la verità, come confessa allo scriba prima di fagli cancellare quella parte, è che i sognatori uccidono chi sta loro vicino, e quindi devono morire prima che questo accada ai loro seguaci. Alessandro l'hanno ucciso loro, in fondo. Eppure, Tolomeo non può fare a meno di pensare con affetto al suo Re, e a quello che ha provato a fare per cambiare il mondo ("il suo fallimento, e che fallimento, ha superato in gloria tutti i trionfi"). Sulla statua di Alessandro e la musica di Vangelis finisce la storia.

    Inesattezze storiche
    Aristotele è il precettore di Alessandro per ordine di Filippo ma non era il maestro di Efestione, Tolomeo ecc. come nel film.
    Tebe non fu distrutta per volere di Alessandro ma per volere della lega di Corinto cosa che aveva chiesto il re macedone alla lega.
    Antigono Monoftalmo chiamato così perché perse un occhio, nel film dall'inizio è già senza un occhio ma in realtà lo perde al Granico per difendere Alessandro che stava rischiando la morte.
    Nel film Alessandro rimprovera i Greco-Macedoni di aver preso in moglie persiani e di aver avuto da loro dei figli, ma in realtà fu una legge di Alessandro che li costrinse a prendere in moglie donne orientali.
    Filota venne ucciso perché sospettato di essere a conoscenza della congiura contro Alessandro, nel film sembra che si faccia capire che è Filota il mandante della congiura e su padre Parmenione non viene ucciso perché era legge macedone che il padre prendesse le responsabilità del figlio,ma perché poteva chiudere i rifornimenti all'esercito di Alessandro.
    Nearco generale di Alessandro era capitano della flotta Macedone.
    Filota non era il capitano della guardia di Alessandro ma era il capitano della cavalleria macedone.
    Persepoli fu bruciata per un motivo che i greci si portavano già dal passato dalle guerre persiane e per vendetta per la distruzione di Atene fece saccheggiare il palazzo dai suoi e lo fece bruciare, nel film sembra che Persepoli fosse stata distrutta da Alessandro per rabbia mentre invece era per vendetta per quello che i persiani avevano fatto alle città greche.
    Besso era il satrapo della Bactria dove Dario III si era rifugiato e dove fu ucciso a tradimento dal Satrapo, nel film Dario viene ucciso dalle sue guardie mentre Besso e un servo di Alessandro, storicamente parlando Besso non ha mai servito il re macedone anzi si autoproclamò gran re e fuggì, fu ucciso e consegnato a Tolomeo dai suoi uomini.
    Rossane è una principessa della Battria figlia di Ossiarte Satrapo della Battria mentre nel film appare come una donna selvaggia e non ha mai cercato di uccidere Alessandro.
    Efestione muore a Ecbatana e non a Babilonia come succede nel film.
    Alla divisione dei territori dell'impero le figure più importanti che devono tenere in piedi l'impero sono Antipatro in Grecia, Perdicca in Asia e Cratero si occuperà degli aspetti governativi al posto del fratellastro di Alessandro,Filippo Arrideo che soffre di demenza.
    I territori che si dividono i diadochi sono questi, Poliperconte in Grecia alla morte di Antipatro, Lisimaco in Tracia, Antigono in Asia Minore, Tolomeo in Egitto e Seleuco in Persia. Cassandro non faceva parte della cerchia più stretta di Alessandro.
    Seleuco nel film non esiste proprio anche se viene nominato verso la fine del film nel momento della divisione dell'impero lui non è presente nemmeno in nessuna delle battaglie a cui a partecipato in realtà e prima di avere la Persia faceva parte della cerchia di ministri a fianco a Perdicca e fu uno dei suoi assassini.
    Alessandro decide di ritornare in Grecia dopo la conquista di Sangala essendo persuaso da Rossana e dai suoi generali.Quindi la sua ultima battaglia non fu quella contro Poros (il comandante indiano che fa impennare l'elefante di fronte ad Alessandro).In quella battaglia Alessandro non fu ferito e Bucefalo morì.
    Alessandro oltre che con Rossana era sposato anche con Statira,la figlia di Dario.

    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Ven Nov 29, 2013 4:40 pm

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    Messaggio Da APUMA Dom Dic 15, 2013 10:03 am

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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 10:24 am

    ALESSANDRO MAGNO
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    Alessandro Magno, (in greco antico Μέγας Ἀλέξανδρος, traslitterato in Mégas Alexandros), ufficialmente Alessandro III (in greco antico Ἀλέξανδρος Γ' ὁ Μακεδών, traslitterato in Aléxandros trίtos ho Makedόn Pella, ecatombeone - 20 o 21 luglio 356 a.C. – Babilonia, targelione - 10 o 11 giugno 323 a.C.) fu re di Macedonia a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II.
    È conosciuto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore o Alessandro il Macedone. Il termine "magno" deriva dal latino magnus che significa per l'appunto "grande", che in greco antico si traduce con il termine mégas. È considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.
    In soli dodici anni conquistò l'intero Impero Persiano, dall'Asia Minore all'Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale e fino ai confini della Cina. Tale straordinario successo fu dovuto sia ad una congiuntura storica eccezionalmente favorevole (le crisi dell'impero persiano e della Grecia, l'opera espansionistica già iniziata dal padre) sia ad una notevole intelligenza militare e diplomatica. Dotato di coraggio e valore aveva un grande ascendente sui soldati che spronava partecipando direttamente ai combattimenti. Inoltre aveva capito l'importanza della propaganda per guadagnare prestigio, di qui i gesti di forte valenza simbolica e le leggende sulla discendenza divina. Infine si sforzava in ogni modo di unificare le diverse etnie e culture delle terre conquistate, prima Grecia con Macedonia, poi Ellenica e Persiana, consapevole del fatto che avrebbe guadagnato consenso ed evitato ribellioni se presentava il suo potere diversamente da quello di un conquistatore straniero.
    Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca. Morì a Babilonia nel mese di daisios (targelione) del 323 a.C., forse avvelenato, oppure per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza o, secondo congetture più recenti, per una cirrosi epatica provocata dall'abuso di vino. Molto probabilmente la vera causa di morte, come si può dedurre dalla accurata sintomatologia descritta, fu una pancreatite acuta, conseguente alle eccessive libagioni compiute in quella giornata.
    Dopo la sua morte l'impero Macedone fu suddiviso tra i generali che lo avevano accompagnato nelle sue spedizioni e si costituirono i regni ellenistici, tra cui quello tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia Minore e negli altri territori orientali.
    L'eccezionalità del personaggio e delle sue imprese, già durante la vita ma ancor più dopo la sua morte, ispirarono un gran numero di leggende, che egli stesso favoriva per aumentare il proprio prestigio, e una tradizione letteraria in cui appare come un eroe mitologico, assimilato ad Achille, da cui vantava una discendenza. I racconti storici hanno presto assunto colorazioni mitiche e diventa pertanto arduo discernere i fatti realmente accertati. Le storie a lui riferite non si ritrovano solo nelle letterature occidentali: nella Bibbia (Primo libro dei Maccabei), ad esempio, si fa esplicito riferimento ad Alessandro, mentre nel Corano il misterioso Dhu al-Qarnayn (il Bicorne o letteralmente "quello dalle due corna") viene talvolta (sebbene erroneamente) identificato con lui.

    La questione della data di nascita
    Discussa tra gli storici è la data di nascita di Alessandro Magno; vi è chi la riporta intorno al 20 luglio, chi alla metà di luglio e altri ancora verso il 6 del mese (quest'ultima data era dovuta alla coincidenza con il giorno sacro della dea Artemide e si narra che alla nascita del condottiero ella si fosse distratta non osservando l'incendio del suo tempio di Efeso). Vi era anche chi sosteneva che fosse nato ad ottobre (tale data risulta la più errata, dovuta più che altro alla confusione, che regnava al tempo, con la data dell'ascesa al trono).
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 10:29 am

    Descrizione fisica
    (LA)
    « Per idem tempus conditorium et corpus Magni Alexandria, cum prolatum et penetrali subiecisset oculis, corona aurea imposita ac floribus aspersis veneratus est, consultusque, num et Ptolemaeum inspicere vellet, «regem se voluisse ait videre, non mortuos» »
    (IT)
    « Quando il sarcofago di Alessandro fu tratto fuori dal sepolcro, Augusto fissò il corpo, pose sul coperchio di vetro una corona d'oro e vi sparse sopra dei fiori in segno di venerazione. Richiesto se volesse vedere anche la salma di Tolomeo, rispose «Desideravo vedere un re, non dei cadaveri» »
    (Traduzione di Guido Paduano, contenuta in Alessandro Magno di Robin Lane Fox, di Gaio Svetonio Tranquillo, Vita di Augusto, 18.1)

    Alessandro non era avvenente ma era tozzo e di corporatura robusta; aveva gli occhi di colore diverso (uno blu l'altro marrone, o forse uno sull'azzurro e l'altro nero), mentre la sua voce era aspra; portava sempre il collo leggermente inclinato verso sinistra e soffriva probabilmente di alcune malformazioni congenite che hanno contribuito alla sua morte. È dovuta a lui l'usanza di radersi il volto: pare che avesse infatti pochissima barba, che all'epoca connotava inequivocabilmente l'uomo di potere (contrapposto a donne e giovani che ne erano privi) e per non sfigurare in mezzo ai suoi dignitari li indusse a radersi. Per effetto della circolazione delle idee dovuta all'Ellenismo la moda si diffuse poi in tutto il Mediterraneo e quindi a Roma.
    Fra gli scultori del tempo, Lisippo ritraeva molto fedelmente il condottiero (venne nominato scultore di corte). Pirgotele fu, invece, l'unico autorizzato dallo stesso Alessandro che poté ritrarlo su pietre dure e sigilli; sfortunatamente nessuno di tali lavori è giunto fino a noi.
    Fra i pittori che lo ritrassero, Apelle di Colofone si dice che lo dipingesse di carnagione più scura di quella che aveva, mentre Aristosseno di Taranto, apprendista di Aristotele, raccontava che emanava un profumo gradevole. Secondo quanto riporta Teofrasto di Ereso, si diceva che il profumo fosse probabilmente dovuto al calore eccessivo del corpo, mentre Ateneo di Naucrati sottolineava la sua abitudine al bere e all'ubriacarsi.
    Sappiamo da Plutarco che Alessandro, almeno a partire dalla battaglia di Gaugamela, indossava in battaglia la linothorax, la corazza multi strato di lino che veniva preferita, per la fanteria leggera e la cavalleria, alla classica corazza oplitica di bronzo, meno resistente alle frecce. In alcuni mosaici che ci sono pervenuti, Alessandro è raffigurato mentre indossa questo tipo di abbigliamento.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 10:35 am

    I genitori di Alessandro
    Alessandro era figlio del re Filippo II di Macedonia e della moglie Olimpiade (o Olimpia), principessa di origine epirota; secondo le leggende, da parte di padre era discendente di Eracle, mentre da parte di madre di Achille, attraverso il nipote Molosso che avrebbe dato origine alla casa reale dei Molossi. Alessandro mostrava di non considerare questa genealogia una finzione, tanto che diceva di comportarsi quale discendente diretto sia di Eracle che di Achille.
    Secondo la leggenda, in parte da lui stesso alimentata dopo essere salito al trono, e riferita da Plutarco, il suo vero padre sarebbe stato lo stesso dio Zeus, che avrebbe preso le sembianze di un serpente e giaciuto con la madre.
    Molte furono le leggende a lui postume sulla sua nascita; ad esempio si narrava che la madre Olimpiade, in visita alla corte persiana, avrebbe avuto una notte d'amore con il loro re, per poi ritornare in Macedonia. La madre stessa per altro alimentava leggende di ogni tipo sul figlio.

    Educazione
    All'epoca della nascita di Alessandro, sia la Macedonia che l'Epiro erano ritenuti stati semibarbari, alla periferia settentrionale del mondo greco.
    La sua nutrice fu Lanice, sorella di Clito; i suoi genitori volevano dare al figlio un'educazione greca (precisamente attica-ateniese) e, dopo Leonida (che il suo allievo giudicò avaro) e Lisimaco (con cui Alessandro legò molto rischiando una volta la vita per salvarlo), scelsero come suo maestro, fra il 343 a.C. e il 341 a.C., il filosofo greco Aristotele; la scelta era dettata anche dalla politica del tempo. Aristotele lo educò, insegnandogli la scienza, la medicina, l'arte e la lingua greca, preparando appositamente per lui un'edizione annotata dell'Iliade e gli restò legato, come amico e confidente, per tutta la vita. Alessandro lo considerò all'inizio alla stregua di un padre ma successivamente diffidò di lui.
    Non si sa fino a che punto gli insegnamenti filosofici di Aristotele influirono sul pensiero di Alessandro. Sembra molto probabile che non potessero esservi molti punti di accordo tra i due: le teorie politiche di Aristotele erano fondate sulla città-stato greca, teoria ormai fuori moda in quel tempo. Il concetto di governo di una piccola città-stato non poteva interessare a un principe ambizioso che voleva costruire un grande impero centralizzato.
    Del suo apprendere dal maestro si ha una prova in una lettera inviata da Isocrate ad Alessandro, in cui il retore greco si congratulava con il macedone nel come affrontava e apprendeva l'arte della filosofia.
    Una delle prime volte che venne menzionato il suo nome fu in un discorso pubblico di un politico ateniese; a quell'epoca Alessandro aveva dieci anni.
    Del suo rapporto con Aristotele nei suoi primi anni si raccontarono molte storie, quasi tutte inventate.

    L'incontro con Bucefalo
    Si narra che il giovane Alessandro, all'età di dodici anni o meno, manifestasse la propria straordinaria natura riuscendo a domare da solo il cavallo Bucefalo.
    L'animale venne comprato da un amico del padre, il generale Demarato di Corinto, probabilmente per un valore di tredici talenti, e regalato a Filippo, il quale ne fece dono al figlio. Alessandro, avendo notato che il cavallo era spaventato dalla propria ombra, lo mise col muso rivolto verso il sole prima di montargli in groppa; da allora il cavallo non si lasciò mai più montare da nessun altro. In seguito gli venne anche insegnato ad inginocchiarsi completamente bardato, in modo da facilitare la monta prima delle battaglie.
    Bucefalo accompagnò per quasi un ventennio il suo padrone e questo legame venne interrotto dalla morte del destriero, nel 326 a.C., durante la battaglia dell'Idaspe (che vide contrapposti i Macedoni di Alessandro all'armata di Poro, re indiano della regione del Punjab).

    Le prime spedizioni
    Nel 340 a.C., a soli sedici anni, durante una spedizione del padre contro Bisanzio, gli fu affidata la reggenza in Macedonia. Disponeva del sigillo reale e sicuramente sbrigò gli affari correnti di governo. Le sue energie vennero poi impegnate in una campagna contro la tribù tracia dei Maidi dello Strimone superiore, durante la quale prese d'assalto la loro città principale, che chiamò poi Alessandropoli. L'anno successivo Filippo ebbe una quarta moglie, Cleopatra Euridice (nipote del suo generale Attalo), ma Olimpiade mantenne il titolo di regina.
    Nel 338 a.C. Alessandro guidò la cavalleria macedone nella battaglia di Cheronea; grazie alle sue abilità di condottiero prevalse sui Tebani, sterminando il battaglione sacro (trecento soldati che costituivano il corpo scelto dell'esercito).
    Durante quella battaglia, venendo a conoscenza delle vittorie riportate dal figlio, il padre cercò di strappare il merito della vittoria ad Alessandro, anche esponendosi al pericolo.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 3:00 pm

    L'assassinio di Filippo
    Dopo la battaglia ci furono ampi contrasti fra padre e figlio, alimentati sia dalla condotta di Filippo durante la battaglia, sia dal suo divorzio dalla madre. Più volte Alessandro usò parole di disprezzo verso il padre e per poco non si sfiorò un duello fra i due. Nel 336 a.C. Filippo venne assassinato ad Ege (l'antica capitale macedone), trafitto da un ufficiale della sua guardia di nome Pausania, che diceva di voler vendicare l'onore di Attalo, durante le nozze della figlia Cleopatra con il re Alessandro I d'Epiro; Pausania venne immediatamente ucciso dalle guardie macedoni dopo l'assassinio del sovrano. Seguendo il racconto tradizionale di Plutarco, sembrerebbe che della congiura fossero a conoscenza, se non direttamente coinvolti, sia Olimpiade che Alessandro, ed è inoltre possibile che l'assassinio sia stato istigato dal re di Persia, Dario III, appena salito sul trono.
    Secondo Aristotele, Pausania, amante di Filippo, avrebbe ucciso il re macedone perché oltraggiato dai seguaci di Attalo, o dallo stesso Attalo (zio della nuova moglie di Filippo, Cleopatra Euridice), che era stato umiliato sessualmente ma non aveva ricevuto vendetta. Il fatto che esistessero complici in attesa di Pausania in fuga depone tuttavia a favore dell'esistenza di un complotto organizzato e non semplicemente di un episodio legato a faccende private.

    Campagna nei Balcani
    Dopo la morte di Filippo, Alessandro, all'età di vent'anni, fu acclamato re dall'esercito e immediatamente si occupò di consolidare il suo potere facendo sopprimere i possibili rivali al trono. Con l'aiuto del generale Antipatro, consigliere del padre, prima operò in modo che i mandanti dell'omicidio del padre figurarono i principi della Lincestide, poi fece condannare a morte Aminta (figlio di Perdicca III e nipote dello stesso Filippo del quale era stato tutore), diversi fratellastri di Alessandro ed Euridice, la giovane moglie di Filippo, il cui zio Attalo fu raggiunto da un sicario in Asia Minore.
    Consolidato il suo potere in Macedonia iniziò ad espandere la propria autorità nei Balcani, cominciando dai Greci. Arrivato a Larissa egli ribadì ai Tessali le proprie buone intenzioni nei loro confronti, offrendosi come protettore contro i Persiani. Ad un'assemblea della Lega Tessalica Alessandro fu eletto capo, gli venne affidata l'amministrazione delle entrate e gli fu promesso l'appoggio nella Lega Ellenica. Dal consiglio anfizionico, riunito per l'occasione alle Termopili, si fece eleggere hegemón (egemone) della Grecia,[28] carica che precedentemente era stata di suo padre e che, come lui volle, passò ai discendenti. Successivamente gli stati greci nella Lega di Corinto, eccetto Sparta, proclamarono Alessandro comandante delle loro forze contro la Persia. Il macedone, in tal modo, stava proseguendo il progetto di conquista che aveva ereditato dal suo padre.
    In quel periodo incontrò il filosofo Diogene, che viveva all'epoca a Corinto in una botte, con il quale vi fu un celebre scambio di battute: alla domanda su cosa desiderasse, il filosofo rispose al macedone di spostarsi perché gli nascondeva il sole. Secondo la leggenda Alessandro concluse: «se non fossi Alessandro mi piacerebbe essere Diogene».
    Appoggiato da tutti i Greci, Alessandro avviò la campagna dei Balcani contro i Triballi, una popolazione stanziata nella parte settentrionale dell'attuale Bulgaria, a partire dalla primavera del 335 a.C. Dopo un viaggio durato dieci giorni si trovò di fronte, al passo di Šipka, nemici dotati di carri che sbarravano il passaggio, pronti ad attaccare. In questo primo scontro si poté assistere all'abilità di stratega di Alessandro.
    Parte dei soldati macedoni si divisero in due ali lasciando libero il passaggio ai nemici, mentre i rimanenti si sdraiarono a terra coprendosi come potevano con gli scudi, in modo da far passare i carri sopra di loro senza subire molti danni. In seguito, grazie al sostegno degli arcieri, degli ipaspisti, dei aegma e delle truppe leggere degli Agriani, i Triballi vennero sconfitti. Si dice che Tolomeo stesso riferì che non ci furono morti nell'esercito macedone in questo scontro.
    Sirmo, re dei Triballi, attendeva il condottiero macedone sul Ligino (un affluente del Danubio la cui corrispondenza odierna non è certa). Ad accompagnare Alessandro in quell'occasione vi erano Filota, Eraclide e Sopoli. La sua tattica lo vide vincitore anche sotto il profilo delle perdite: morirono più di 3.000 nemici, mentre gli alleati subirono in tutto una cinquantina di perdite.
    I Macedoni avevano difficoltà ad espugnare l'isola Peuce per via delle forti correnti ed erano venuti a conoscenza dell'arrivo di rinforzi nemici. Alessandro decise quindi di superare il fiume in una sola notte, sbaragliando con un furioso assalto i Geti che, alleati dei Triballi, erano dotati di 10.000 fanti e 4.000 cavalieri.
    Egli trascorse quasi 4 mesi nei Balcani orientali prima di puntare a ovest ed entrare nel territorio degli Agriani, con circa 25.000 fanti e 5.000 cavalieri.
    Alessandro riuscì a contrastare gli attacchi della tribù illirica dei Dardani, comandati da Clito (figlio di Bardilo II), provenienti dall'odierno Kosovo. Essi effettuarono incursioni nella Macedonia, arrivando fino ad espugnare Pelion, vicino al centro urbano che poi sarà chiamato Gorice. Nel frattempo giunse notizia dell'arrivo imminente dei Taulanti di Glaucia a sostegno degli invasori. Grazie all'appoggio di Longaros, Alessandro giunse a Pelion iniziando l'assedio. Arrivarono poi i rinforzi nemici come previsto. Il macedone attaccò utilizzando la sua falange, composta da 120 file, come una sorta di serpente umano, stanando i nemici senza subire alcuna perdita, mentre con un attacco notturno condotto dalle sole truppe leggere riuscì a liberare Pelion.

    L'insurrezione delle poleis
    Dopo la vittoria nei Balcani, tuttavia, si sparse la voce che Alessandro fosse rimasto ucciso in battaglia e questa notizia provocò una nuova ribellione delle πόλεις (poleis), probabilmente alimentata dai Persiani e dai Tebani che, dopo anni di esilio, approfittarono della situazione e tornarono in patria. Vi erano stati disordini anche altrove; ad Atene vennero uccisi Timolao e Anemeta, i capi del partito filo-macedone.
    Con una marcia rapidissima di più di 200 chilometri, percorsi in quattordici giorni, Alessandro raggiunse Tebe e la circondò. Vi sono due versioni dello scontro: nella prima l'esercito macedone era in difficoltà fino a quando Alessandro notò un'entrata alla città lasciata senza protezione e ordinò al comandante del battaglione Perdicca di penetrarvi; l'altra versione, raccontata da Tolomeo probabilmente per calunniare il suo rivale, attribuisce l'iniziativa allo stesso Perdicca, che poi nel combattimento fu gravemente ferito.
    In ogni caso l'esercito macedone travolse ogni fortificazione, radendola al suolo, risparmiando solamente i templi e la casa del poeta Pindaro. Al termine degli scontri si arrivò a contare circa 6.000 morti, fra cui molti arcieri cretesi con il loro comandate Euribote. Alessandro ottenne così la sottomissione completa delle città greche, eccetto Sparta.
    Atene fu risparmiata, e le fu richiesto solo che venissero consegnati i politici antimacedoni, ma alla fine delle trattative soltanto il generale Caridemo venne esiliato; questi, non sentendosi cittadino greco, si alleò con la Persia e Dario e come lui altri nemici di Alessandro, mentre Carete si recò a Sigeo, nei suoi possedimenti. Al termine degli eventi, alla fine di ottobre, ritornò in Macedonia.
    Discussa è la visita di Alessandro all'oracolo di Delfi prima della partenza: secondo quanto si racconta, il re vi arrivò in un periodo in cui l'oracolo non poteva essere consultato, visto che all'epoca dava responsi solo una volta al mese; per cui, di persona, costrinse la sacerdotessa a venire al tempio portandovela con la forza e proprio in quell'occasione ella affermò che il nuovo re «era invincibile».
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 3:09 pm

    Conquista dell'Impero persiano
    La prima spedizione greco-macedone inviata da Filippo II in Asia Minore, al comando del generale Parmenione, era stata respinta sulla costa dall'esercito persiano; quest'ultimo era comandato dal generale rodio Memnone (e prima di lui da Mentore), che occupò la città di Abido, dove sarebbero dovuti sbarcare i Macedoni.
    Nella primavera del 334 a.C. Alessandro, dopo aver consolidato la sua posizione in Grecia e dopo aver lasciato Antipatro come suo rappresentante in patria, sbarcò in Asia Minore con un esercito di circa 40.000 uomini, di cui 32.000 fanti; nella cavalleria poteva contare su 1200 tessali e 1800 hetaîroi ("compagni" del re), tutti al comando di Parmenione. Il nucleo principale era formato dall'esercito macedone, rafforzato dagli scarsi contingenti provenienti dalle città greche.
    Dopo aver attraversato le coste della Tracia arrivò in circa venti giorni ai Dardanelli; a Sesto venne raggiunto da 160-170 navi alleate (successivamente affidate a Nicanore) con le quali raggiunse la riva opposta, non temendo la flotta nemica che era occupata a tenere a bada le coste egiziane (infatti nel gennaio del 335 a.C. era morto il re ribelle egiziano e una parte della flotta lì impegnata non poté intervenire per fermare i Macedoni). Fece dunque visita, come buon augurio, a quella che si riteneva fosse la tomba di Protesilao (che fu il primo eroe greco che poggiò piede sulla terra asiatica durante la guerra di Troia, morendo subito) e vi compì un rituale: si mise alla guida di una trireme, si allontanò dalla costa, sacrificò un toro e altro, tornò e, prima di giungere sulla riva, indossò la propria armatura; una volta sbarcato prese la sua lancia e la scagliò in terra proclamandosi come conquistatore dell'impero persiano.
    Il numero di fanti e cavalieri al seguito di Alessandro sono discordanti sin dalle prime fonti:

    • Tolomeo I: 30.000 fanti e 3.000 cavalieri
    • Aristobulo: 30.000 fanti e 4.000 cavalieri
    • Anassimene di Lampsaco: 43.000 fanti e 5.500 cavalieri
    • Callistene: 40.000 fanti e 4.500 cavalieri


    Battaglia del Granico (334 a.C.) e conquista dell'Asia Minore
    Memnone, che non era persiano di nascita ma greco e che aveva sposato una donna persiana, davanti alle truppe macedoni appena sbarcate sosteneva la tattica della terra bruciata, ma i satrapi persiani non vollero lasciare i propri territori al nemico, preferendo scontrarsi subito con l'esercito invasore. Cercò allora di radunare i 20.000 mercenari greci su cui poteva contare, ma soltanto una parte di essi si unì a lui, mentre un'altra restava a difesa di Alicarnasso e Mileto. Inoltre circa 5.000 unità furono inviate, per ordine dello stesso Dario, a Cizico, luogo importante per la moneta.
    Nel maggio dello stesso anno, presso il fiume Granico, vicino al sito della leggendaria Troia (sulla strada da Abido a Dascylium, vicino all'odierna Ergili), si svolse il primo scontro. Contro Alessandro, oltre a Memnone, Spitridate della Lidia, Atizie e Arsite della Frigia e Mitrobarzane dalla Cappadocia, vi erano Reomitre, Mitridate e Resace. Parmenione ebbe il comando dell'intera ala sinistra a cui era stata affidata la difesa. Altri uomini al servizio del conquistatore furono Filota, Ceno, Perdicca, Cratero, Meleagro. Clito il Nero (fu chiamato il Nero per distinguerlo da Clito il Bianco, altra figura al comando di parte della fanteria), figura come la guardia del corpo.
    Gli eserciti si fronteggiarono a lungo senza prendere l'iniziativa, nella quale i Persiani attendevano che fossero i Macedoni i primi ad attaccare, alle prime luci dell'alba fu Alessandro in persona (che i soldati riconobbero dal candido pennacchio dell'elmo) ad iniziare le ostilità. L'armata macedone si scagliò sui Persiani.
    La tattica di Alessandro era chiara: aprire dei varchi nella fanteria nemica, lasciando poi spazio alla cavalleria per spezzare l'esercito persiano (che era disposto lungo le ripide rive del fiume) e permettendo così alla falange macedone di caricare con le sarisse e porre fine alla battaglia.
    Dopo aver rotto una prima lancia e ottenuta dai propri fidi un'altra, il macedone si scontrò prima con Mitridate, che venne colpito in volto e sconfitto, per poi essere colto di sorpresa dal fratello di Spitridate, Resace. Questi lo colpì in testa rompendogli l'elmo e ferendolo; Alessandro reagì e dopo essersi procurato una nuova lancia colpì l'avversario al petto. Arrivò un terzo avversario, Spitridate, armato di spada, ma, grazie all'intervento di Clito il nero, il re macedone ebbe salva la vita.
    La battaglia si era finalmente risolta in uno scontro tra cavallerie, nel quale quella macedone ebbe la meglio, mettendo in fuga la controparte nemica. Senza molti dei loro comandanti i Persiani si sentirono persi e vennero rapidamente sconfitti; molti furono i morti fra cui Spitridate, Mitrobarzane, Farnace, il cognato di Dario, Arbupalo, Nifate, Petine e Omare dei mercenari. In quella battaglia i morti persiani furono migliaia mentre dei macedoni si contavano: 25 fra gli eteri, 60 nella cavalleria e circa 30 nella fanteria.
    Alessandro nel trattare le spoglie nemiche fu diplomatico, inviando 300 armature ad Atene con un messaggio che ricordava: «Alessandro, figlio di Filippo, e i Greci, eccetto gli Spartani, dedicano queste spoglie tolte ai barbari che vivono in Asia»; in questo modo dimostrò umiltà e rispetto (umiltà in quanto si definiva semplicemente come figlio di Filippo, e rispetto verso la Grecia, identificando Macedonia e Grecia come un unico popolo). Le armature furono un ovvio riferimento ai 300 guerrieri spartani che nel 480 a.C. morirono con il re Leonida al passo delle Termopili.
    Il conquistatore inoltre attribuì grandi onori ai caduti, esentando da tasse genitori e figli dei combattenti defunti più fedeli. Dopo la vittoria, Alessandro diede ordine di non saccheggiare la terra conquistata e ai persiani vinti concesse il pagamento dello stesso tributo che prima pagavano. Parmenione, nel frattempo, prese Dascilio.
    L'Asia Minore era ormai aperta alla conquista macedone.

    La resistenza di Mileto e l'accordo con Sardi
    L'avanzata di Alessandro trovò solo la città di Mileto ad opporgli fiera resistenza: pur avendo anche loro inviato in precedenza ai Macedoni una lettera di resa, cambiarono idea non appena vennero a conoscenza dell'arrivo imminente di una flotta amica in loro sostegno. Alessandro occupò quindi il porto, cercando di impedirne l'entrata alle 400 navi nemiche che stavano per giungere, e assaltò le mura, iniziando l'assedio. Dopo tre giorni giunsero i rinforzi ma non venne permesso loro di attraccare: ciò fu possibile grazie allo sforzo di Nicanore e dei suoi soldati che, stanziando nei pressi dell'isola di Lade, controllavano il porto.
    Si dice che a questo punto Parmenione suggerì di attaccare la flotta nemica, avendo notato buoni auspici per la vittoria in mare (un'aquila che si era poggiata sulla spiaggia vicino alle loro imbarcazioni); Alessandro, tuttavia, gli rispose che aveva male interpretato i segni e che la vittoria sarebbe venuta per terra, in quanto il volatile si era poggiato sul suolo; l'evento è probabilmente inventato. I Macedoni sconfissero gli avversari e reclutarono trecento uomini nemici nel loro esercito (questo reclutamento indusse alla resa i combattenti nemici più valorosi).
    Contro la città di Sardi bastò un accordo con il suo capo, Mitrine, che accolse Alessandro come fosse un amico; il re macedone permise ai cittadini di continuare a regolarsi con le leggi già in uso e concesse inoltre ulteriori privilegi. Raggiunse Efeso, dove i mercenari nemici impauriti erano precedentemente fuggiti, e la occupò instaurando una democrazia al posto della precedente oligarchia, come era avvenuto nelle altre città conquistate. La città entrò a far parte della Lega di Corinto. Questa sua politica portò ad Alessandro molti consensi e provocò la resa spontanea di altre città. Tutte le πόλεις (poleis) della costa, che avevano mal sopportato le ingerenze persiane, salutarono il macedone come un compatriota liberatore.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mar Feb 11, 2014 3:31 pm

    Il controllo delle zone conquistate
    Il governo della Caria fu affidato ad Ada, ultima sorella di Mausolo e di Pissodaro (colui che anni prima aveva progettato un matrimonio fra sua figlia e uno dei figli di Filippo). La donna chiese udienza al conquistatore, lasciando Alinda (luogo dove aveva trovato rifugio) per incontrarlo; nel parlargli lo denominò figlio.
    Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia (terra poi concessa ad Asandro) al comando di Parmenione, Alessandro passò in Licia, in Panfilia, in Pisidia e in Frigia; quest'ultima venne concessa al comandante della cavalleria tessalica (Calate) e in sua sostituzione Alessandro nominò nuovo comandante della cavalleria Alessandro Linceste, scelta poi rivelatasi infausta; Linceste, in seguito, fu da lui fatto arrestare con l'accusa di tradimento.

    L'assedio ad Alicarnasso
    L'intento di Alessandro era quello di conquistare tutte le città costiere impedendo l'attracco alle navi nemiche; nel frattempo si ebbe la notizia della morte di un figlio di Dario, ucciso per ordine dello stesso padre in quanto era in procinto di tradirlo.
    Si trovò di fronte ad Alicarnasso, una roccaforte dove si era rifugiato Memnone per aiutare la flotta persiana disposta nelle acque vicine; la città era provvista di un grande fossato e disponeva di scorte sufficienti a resistere ad un eventuale lungo assedio. In questa battaglia il macedone utilizzò le macchine che lanciavano pietre per difesa e non per attaccare le mura.
    Alessandro attaccò quindi una torre, nella vana speranza che il suo crollo coinvolgesse parte delle mura; ma alla caduta della prima non conseguì la caduta della seconda. Si concentrò allora su un'altra zona, colmando prima il fossato e poi attaccando con le sue macchine, senza grossi esiti. In quell'occasione morì Neottolemo, fratello di Aminta di Arrabeo, insieme a circa 170 soldati, mentre meno di venti (16) furono le vittime fra i macedoni, e 300 i feriti.
    I Persiani resistettero ad altri assalti grazie al fuoco che bruciò un'elepoli dei greci.
    Furono allora mandati duemila uomini persiani, mille dei quali armati di fiaccole con l'obiettivo di incendiare ogni macchina nemica, mentre gli altri mille dovevano attaccare di sorpresa i Macedoni nel momento in cui sarebbero stati impegnati a spegnere i vari incendi. La loro azione non colse impreparati gli uomini di Alessandro, che fecero strage dei nemici; del secondo contingente si occupò Tolomeo. I soldati persiani rimasti in vita cercarono di tornare nella città, ma, temendo che anche gli invasori entrassero con loro, venne chiuso il cancello e il ponte stesso non resse al peso. Si contarono 1.500 morti per i Persiani e 40 dei Macedoni, fra cui il capo degli arcieri Clearco.
    Diodoro differisce totalmente da questa versione (narrata fra gli altri da Arriano-Tolomeo); secondo l'autore, soltanto all'inizio stavano avendo la meglio i Macedoni, guidati fra gli altri probabilmente dai battaglioni di Addeo e Timandro, ma di fronte al secondo assalto molti dei greci si spaventarono e la paura aumentò ancora di più all'ingresso dello stesso Memnone, il cui esercito ammutolì per un attimo lo stesso Alessandro. Soltanto grazie ai veterani, al cui comando si pose Atarrias, che spronò i più giovani e inesperti, riuscirono a sconfiggere l'esercito nemico uccidendo Efialte, uno dei comandanti nemici. L'episodio ritrova conferma in un racconto successivo riguardante Clito il Nero e Alessandro, nel quale il primo ricordò al secondo che senza l'intervento di Atarrias i Greci forse sarebbero ancora ad assediare Alicarnasso. Si riportano anche i nomi dei generali nemici, gli stessi Efialte e Trasibulo, che tempo prima vivevano ad Atene e di cui Alessandro chiese la consegna, ma a cui fu dato la possibilità dell'esilio e quindi di allearsi con Dario. In ogni caso la resistenza non superò i due mesi.
    La città venne incendiata dai Persiani, mentre il generale nemico Memnone fuggì rifugiandosi temporaneamente sull'isola di Cos. Il re macedone, entrato nella città, ordinò di uccidere chiunque avesse appiccato il fuoco e quando si rese conto dei danni che aveva subito la fece distruggere completamente; visti, però, i resti ritrovati, sembra che questa sia un'esagerazione.
    Alessandro lasciò Orontobate, che si era rifugiato nella roccaforte di Salmacide, dando incarico a due dei suoi uomini più fidati (Tolomeo di Filippo e Asandro) di conquistare le restanti città della regione, lasciando a loro parte dell'esercito (3.000 fanti e 200 cavalieri). Nel frattempo il re macedone avrebbe proseguito la sua conquista dell'Impero Persiano.

    I primi tradimenti e il nodo gordiano
    A questo punto il re macedone diede il congedo a tutti i militari che si erano sposati poco prima di partire per la spedizione e inviò parte del suo esercito a Perge, mentre lui continuava il suo percorso costiero. Dopo un evento fortuito (il vento cambiò al suo passare rendendo agevole il passaggio in una zona altrimenti impervia) riscosse molti consensi e contributi da parte dei suoi uomini che subito convertì in paghe per i soldati.
    Alessandro viaggiò per Termesso, Aspendo e Faselide. Nel frattempo arrivò da Parmenione Sisine, un messaggero persiano inviato da Dario III col proposito di persuadere Alessandro di Lincestide a uccidere il proprio re; se quest'ultimo avesse accettato la proposta avrebbe ricevuto un premio di duemila talenti d'oro (a cui si aggiungeva la corona stessa). Il generale dunque, ritenendo rischioso comunicare la risposta per iscritto, inviò ai persiani un messaggero travestito, evitando così ogni possibile pericolo di intercettazione, per chiedere come avrebbe dovuto agire.
    Gli storici non concordano con questo passo per via della presenza di tanti punti oscuri. Anche la sorte di Alessandro di Lincestide viene raccontata in vari modi: Tolomeo dopo la sua cattura non citerà più il suo nome; forse fu ucciso per un tradimento quattro anni dopo le vicende narrate, oppure, come racconta Aristobulo, egli morì addirittura prima della partenza per la conquista dell'Asia, ucciso da una donna a cui chiese del denaro. Dati certi riportano però l'esistenza di un comandante dei Traci con tale nome, sia all'epoca di Tebe sia in Asia.
    Altri resoconti identificano Sisine come uomo di fiducia del re macedone, che gli rimase fedele sino a poco prima della battaglia di Isso, quando gli venne commissionato l'omicidio di Alessandro; scoperto, per ordine del re, Sisine venne poi ucciso dagli arcieri.
    Dopo aver fatto dono al veterano Antigono Monoftalmo di un ampio territorio, Alessandro giunse nell'antica capitale Gordio, dove si svolse l'episodio del celebre nodo gordiano: pare che esistesse un antico carro il cui giogo era assicurato da un nodo inestricabile e che un oracolo avesse promesso il dominio dell'Asia a chi fosse riuscito a scioglierlo. Il macedone, dopo alcuni tentativi, risolse il problema estraendo la spada e tagliando il nodo con un colpo netto. Diversamente Aristobulo afferma che fu facile per il re sciogliere quel nodo, senza l'utilizzo della propria spada.
    A Gordio, nel maggio del 333 a.C., Alessandro aspettò che Parmenione lo raggiungesse insieme alle sue truppe, cui si aggiunsero 4.000 soldati (di cui 3.000 erano Macedoni). Riuscì a far avere ad Antipatro 500 talenti e 600 ne donò ad Anfotero, per rinforzare la flotta greca, rispettando l'alleanza.
    In seguito Memnone, dopo aver conquistato Chio e le città di Lesbo (Mitilene non riuscì mai a conquistarla), tentò di preparare trecento navi con cui partire per invadere Eubea e Attica, ma si ammalò e morì. La sua azione di resistenza fu proseguita da un suo parente, Farnabazo, aiutato da Autofradate. I due ottennero piccole vittorie (fra cui la conquista di Mitilene, Mileto e Tenedo) alternate ad altrettante piccole sconfitte, ma il numero dei loro soldati non impensieriva Alessandro.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 12, 2014 10:18 am

    Battaglia di Isso (333 a.C.)
    Preludio
    Alessandro nel giugno del 333 a.C. entrò nella Cilicia e scese in una radura descritta tempo prima da Senofonte, arrivando dopo molte miglia a Tarso. Nel frattempo Dario III, a Susa, venuto a conoscenza della morte del suo più celebre generale, convocò il consiglio di guerra; Caridemo chiese di essere posto al comando di un esercito di 100.000 uomini, ma l'imperatore persiano decise di muoversi personalmente a partire da luglio. Verso la fine di agosto o l'inizio di settembre partì. Le cifre dell'esercito persiano non sono riportate correttamente da nessun cronista storico del tempo: erano 600.000 secondo Arriano e Plutarco, 400.000 fanti a cui si sommano 100.000 cavalieri secondo Giustino e Diodoro, mentre Callistene e Curzio Rufo riferiscono solo di 30.000 mercenari greci; altri riportano che il contingente schierato fu di 160.000 unità.
    In ogni caso Dario aveva radunato un'armata numerosa, tre o quattro volte superiore a quella macedone. I Persiani si schierarono nella pianura all'uscita dei passi montani delle porte siriache, trovando una buona posizione strategica a Sochi.
    Nel frattempo Alessandro fu colpito da una malattia, forse per aver nuotato nel Cidno. Colui che lo curava, Filippo di Acarnania, voleva in realtà ucciderlo, ma il re ne fu informato da Parmenione. Secondo Arriano e Curzio, Parmenione fece pervenire ad Alessandro una lettera dove si riferiva dell'intenzione del medico di ucciderlo. Alessandro lesse la lettera poco prima di bere il rimedio approntato dal medico e, confidando della sua lealtà, subito dopo bevve e gli consegno la lettera. Il re guarì verso la fine di settembre. Successivamente passò per Anchialo, dove una trascrizione diceva che questa città e quella di Tarso furono costruite in un giorno e, dopo la conquista di Soli, corse a Mallo, dove era in atto una guerra civile che fece terminare; qui venne a conoscenza che Dario era posizionato a Sochi e decise quindi di affrontarlo.

    La battaglia
    Parmenione fu mandato in avanscoperta e a fatica riuscì a controllare il passo di Kara-kapu, Alessandretta e una parte di Isso; Alessandro lo raggiunse successivamente.
    A novembre, infine, il re persiano, temendo che l'inverno lo costringesse a ritirarsi nei quartieri invernali senza aver fermato Alessandro, gli venne incontro. Entrambi non sapevano esattamente dove si trovasse l'altro. Arrivato ad Isso, Dario trovò solo gli uomini abbandonati dal re avversario, in quanto non erano più utili all'imminente battaglia perché feriti o malati; il suo nemico si trovava a sole quindici miglia circa più a sud.
    Fiducioso della superiorità numerica del suo esercito, Dario si spostò alle spalle del nemico, nella pianura costiera di Isso, l'odierna Dorto; la sua idea era quella di spezzare l'esercito greco, confidando che l'alto numero dei soldati reclutati lo avrebbe portato alla vittoria anche su un terreno meno favorevole, nella ristretta pianura chiusa tra i monti del Tauro, il mare e il fiume Pinaro, dove poterono essere schierati non più di 60.000 fanti, 30.000 cavalieri, altri 20.000 uomini e dietro a loro 30.000 mercenari greci. Il tutto equivaleva per capacità alla falange macedone. Ancora più dietro vennero schierati altri soldati, mentre Dario occupava il centro come loro usanza, su un carro con 3.000 uomini posti a guardia. Alla sinistra si posero 6.000 arcieri e 20.000 fanti sotto il comando di Aristomede.
    Lo scontro iniziò alle cinque e mezzo del primo novembre. Alessandro guidò direttamente la carica con la cavalleria leggera sull'ala destra: superò gli sbarramenti posti dalle truppe persiane mentre la falange, meno veloce nei movimenti, cedeva lentamente al nemico che l'attaccava da ogni parte. Nel suo slancio, Alessandro raggiunse quasi il sovrano persiano e si dice cercò di colpirlo, non riuscendoci, con una lancia. Dario decise di ritirarsi, costretto a lasciare il suo carro e a darsi alla fuga su un cavallo, mentre suo fratello Ossatre rimase a combattere sino alla morte.

    Il dopo battaglia
    La battaglia si concluse con una completa disfatta dei Persiani, tra i quali si contarono oltre 110.000 morti fra cui ufficiali quali Savace (satrapo d'Egitto), Arsame, Reomitre e Atize, i quali avevano già combattuto in passato contro l'avanzata macedone uscendone in salvo. Il Grande Re perse le sue migliori truppe, quasi tutti i più validi ufficiali del suo esercito e soprattutto il proprio prestigio di condottiero, distrutto dalla sua precipitosa fuga davanti al nemico.
    Fra i Macedoni si contarono 150 perdite, tra cui 32 fanti, mentre i feriti erano oltre 500. Lo stesso Alessandro venne ferito ad una coscia.
    Vennero catturati, oltre ad un immenso bottino, anche alcuni familiari di Dario tra cui sua madre Sisigambi, sua moglie Statira I e le sue figlie Statira II e Dripetide.
    Il giorno successivo Alessandro andò con Efestione a far visita alle prigioniere. In quell'occasione Sisigambi non seppe riconoscere chi dei due fosse il re, rendendo omaggio alla persona sbagliata. Un servo le fece notare l'errore e il conquistatore macedone per evitarle l'imbarazzo le disse di non preoccuparsi in quanto entrambi erano Alessandro; il condottiero, adeguandosi a come già aveva fatto con Ada tempo addietro, iniziò a rivolgersi alla regina persiana chiamandola madre.
    Visitò i feriti, pur essendo lui stesso uno di loro, e onorò ogni soldato che si fosse distinto durante la battaglia offrendo ricompense adeguate.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 12, 2014 10:27 am

    L'ambasciata di pace
    Giunto a Marato, il conquistatore macedone ricevette alcuni ambasciatori inviati dal re persiano; questi chiedevano la pace e il riscatto dei prigionieri. Gli ambasciatori erano accompagnati da una lettera con la quale si ricordava ad Alessandro che, ai tempi del padre Filippo, la Macedonia e la Persia erano state alleate e furono i Macedoni ad infrangere per primi tale alleanza.
    Alessandro rifiutò le proposte di pace di Dario preferendo la via della conquista all'accontentarsi dei numerosi territori fino a quel momento assoggettati. Invece di proseguire immediatamente verso l'Asia preferì entrare in Egitto al fine di coprire le spalle al suo esercito prima della spedizione successiva.

    Damasco e Tiro
    Parmenione poi fu inviato a Damasco, dove riuscì a racimolare 2.600 talenti e 500 libbre d'argento, con i quali riuscì a pagare ogni debito contratto con l'esercito. Parmenione riportò con sé anche 329 musiciste e quaranta «fabbricanti di profumi», oltre ad uno scrigno in cui Alessandro nascose la sua copia dell'Iliade e Barsine, figlia di Artabazo (che discendeva da una figlia di un re) e vedova del generale Memnone, che divenne una delle compagne dello stesso re macedone, da cui ebbe un figlio, Eracle.
    Dopo la vittoria lo stesso Alessandro scrisse una lettera a Dario con la quale gli comunicò che avrebbe dovuto chiamarlo «signore di tutta l'Asia» e che avrebbe potuto ottenere il riscatto della moglie e dei figli se fosse venuto di persona a chiederlo. Nel caso in cui il sovrano persiano non l'avesse riconosciuto superiore a lui ci sarebbe stato un nuovo combattimento.
    Alessandro si dedicò quindi alle città costiere per eliminare le ultime basi della flotta persiana. Si sottomisero senza opporre resistenza Arado, Biblo e Sidone con le loro flotte navali, mentre Tiro, che per allearsi o meno attendeva di capire chi stesse vincendo fra i due schieramenti, non fu benevola come le precedenti. Il re cercò in un primo momento di convincerli a farli entrare in città con il pretesto di voler rendere omaggio ad una loro divinità, Melqart; loro tuttavia non acconsentirono e gli venne suggerito di recarsi nella parte vecchia della città dove vi era un tempio apposito. In questo modo avrebbero quindi evitato la parte nuova, quella che invece interessava al macedone. Il conquistatore inviò loro dei messaggeri che furono tutti uccisi, violando il codice non scritto. Era il mese di febbraio dell'anno 332 a.C.
    La città oppose un'accanita resistenza, forte anche del fatto che Cartagine aveva promesso di inviare presto soccorsi. La parte nuova era ubicata su un'isola vicino alla costa (si parlava di una distanza di 700 metri); Alessandro pensò dunque di utilizzare dei detriti dell'antica città continentale, distrutta anni prima da Nabucodonosor II (dopo un assedio di tredici anni), per unire l'isola alla costa rendendola dunque una penisola, usando anche alberi, legname a cui venivano alternati strati di macigni e detriti. Intanto racimolò, durante un viaggio che lo portò anche a Sidone, una piccola flotta composta da 224 navi, fra cui alcune quinquiremi del re Pnitagora, sovrano dei ciprioti a cui il conquistatore donò una miniera di rame. Oltre a loro riuscì ad aggiungere alle sue fila anche 4.000 mercenari comandati da Cleandro.
    L'assedio durò sette mesi (dal febbraio del 332 a.C. sino a luglio-agosto). Fra le varie idee utilizzate vi fu quella di due navi unite a prua che trasportavano degli arieti. La resistenza dei Tiri fu eroica: riparavano ogni breccia creata, gettavano pietre contro le navi che trasportavano gli arieti (anche se tali massi furono raccolti e catapultati lontano dagli assalitori), tagliavano le corde che reggevano le ancore anche con l'uso di palombari (in seguito furono sostituite da catene). Inoltre, dato il gran numero di tecnici e ingegneri presenti nella città, costruirono facilmente tante nuove macchine da guerra per opporsi con più efficacia all'assedio; a loro si contrapponeva, nella costruzione di macchine all'avanguardia, un solo inventore tessalo, Diade.
    Giunse un'altra lettera da Dario, una proposta di pace, probabilmente durante l'assedio a Tiro. Questa volta alla proposta erano allegati molti doni fra cui 10.000 talenti, la mano di sua figlia e il possesso di un vasto territorio sino all'Eufrate. Vi fu qui una celebre conversazione fra Parmenione e Alessandro: «Se io fossi Alessandro, accetterei la tregua e concluderei la guerra senza più correre altri rischi». «Lo farei se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro e come il cielo non contiene due soli, l'Asia non conterrà due re».
    Fu probabilmente la notizia della morte della moglie, avvenuta durante il travaglio di un nuovo nascituro, a far cambiare idea al re. Infatti, saputo del secondo rifiuto, Dario si dedicherà a radunare un esercito ancora più vasto del precedente. Nel frattempo la flotta navale macedone sconfisse molti dei suoi nemici, fra cui Carete, fuggito tempo addietro dalla Grecia stessa.
    Gli abitanti di Tiro vennero informati che i rinforzi da Cartagine non sarebbero giunti e di conseguenza escogitarono altre difese ancora più cruente, fra cui quella di gettare dalle mura sabbia e fango bollente che una volta entrate nelle armature degli assedianti avrebbero causato ustioni. Si dice che Alessandro abbia avuto dei dubbi sulla prosecuzione dell'assedio; alla fine scelse di continuare ciò che aveva iniziato, dato che una rinuncia sarebbe stata una testimonianza troppo grande della sua non invincibilità.
    Plutarco racconta che, giunti all'ultimo giorno del mese di agosto, l'indovino Aristandro predisse, dopo aver interpretato i segni che il cielo stava dando, la conquista della città entro la fine del mese; Alessandro quindi decise che quel giorno non era più il trenta ma il ventotto del mese. Alla fine di agosto le navi di Alessandro subirono un pesante attacco e quelle di Pnitagora, Androclo e Pasicrate, dopo essere state speronate, affondarono l'una dopo l'altra. Non appena il macedone si accorse di quanto stava accadendo ordinò alle navi più vicine di avvicinarsi al molo nemico impedendo così l'uscita di altri convogli e permettendo di concentrare l'azione su quelli rimasti. I Macedoni utilizzarono a quel punto varie tattiche: l'attacco ad entrambi i porti, un diversivo con una piccola unità navale e l'attacco decisivo alle mura. L'offensiva fu inizialmente guidata da Admeto, ammiraglio della nave del re, poi ucciso in quella battaglia. Successivamente l'attaccò fu guidato da Alessandro in persona. Per paura della sconfitta imminente ci fu chi preferì uccidersi. La città infine cadde e le perdite macedoni furono in quell'attacco circa una ventina, che si sommano alle circa quattrocento nel corso di tutto l'assedio.
    In quest'occasione si vide la furia del re: fece uccidere 8.000 cittadini (di cui 2.000 vennero crocifissi) e molti di più furono ridotti in schiavitù o venduti; si mostrò tuttavia benevolo con chi aveva trovato riparo nei templi, fra cui il re di Tiro, Azemilco. Alessandro fu dunque di parola e sacrificò, come aveva chiesto di fare in precedenza al dio locale, la catapulta che aveva fatto per prima breccia nella città.
    La data della caduta della città è controversa: Arriano cita il mese di luglio, all'epoca in cui si distingueva come magistrato d'Atene Aniceto, che aveva cambiato nome in Nicerato per festeggiare la vittoria di Alessandro.

    La conquista di Gaza
    Dopo Dor e Ashdod arrivò il turno di Gaza, comandata da Batis (o Bati) che si oppose alla conquista. Alessandro fece trasportare le macchine da guerra utilizzate in precedenza e alle proteste dei suoi uomini replicò, dopo aver osservato le possenti mura della fortezza scoscesa, che più un'impresa appariva impossibile a maggior ragione doveva essere compiuta per stupire alleati e nemici. Iniziò dunque la costruzione di gallerie, impresa facile vista la conformità del terreno.
    Nel contempo decise di fare costruire torri più alte delle mura nemiche in modo da poterle colpire dall'alto grazie all'utilizzo di catapulte (le elepoli non riuscivano ad avvicinarsi abbastanza). Per utilizzarle occorreva prima costruire un terrapieno; nonostante i Macedoni avessero a disposizione solo fango e sabbia vi riuscirono in pochi mesi, secondo Diodoro in due. Batis diede l'ordine ai suoi uomini di incendiare le macchine nemiche, ma i soldati che uscirono dalla fortezza furono attaccati. Durante questa azione Alessandro fu raggiunto da un colpo di catapulta. Si riparò con lo scudo ma l'impatto fu così forte da romperlo, trafiggendo l'armatura e ferendolo ad una spalla. Questo episodio era stato predetto dall'indovino che aveva visto la vittoria del macedone.
    Il re non aspettò che la ferita guarisse, ma ritornò alla battaglia; durante l'assedio la ferita riprese a sanguinare e a gonfiarsi, ma il condottiero abbandonò il campo solo quando stava per svenire. Il terrapiano che venne costruito raggiunse un'altezza di 75 metri, una piccola montagna eretta durante l'estate; da quell'altezza, anche se si cercò di alzare le mura della città, i nemici furono facili bersagli delle macchine nemiche. Inoltre, grazie alle gallerie scavate, le mura vennero fatte cadere. Quasi tutti gli uomini della città morirono mentre i restanti diventarono schiavi. Si racconta che il destino di Batis, che durante i combattimenti venne ferito più volte, ricordasse per similitudine quello di Ettore; infatti, analogamente al condottiero troiano, venne legato al carro di Alessandro e trascinato; molte aggiunte apportate ai resoconti dopo la morte di Batis rendono l'accaduto più tragico. La città venne poi ripopolata.
    Gerusalemme aprì le porte e si arrese. Secondo Giuseppe Flavio, ad Alessandro fu mostrato il libro biblico di Daniele, si pensa l'ottavo capitolo, dov'è indicato che un potente re macedone avrebbe assoggettato l'Impero Persiano.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 12, 2014 2:50 pm

    Egitto
    Nel novembre del 332 a.C. Alessandro iniziò il viaggio verso l'Egitto; superato dopo tre giorni il deserto e il lago Serbonide, giunse in quelle terre venendo accolto come un liberatore e facendosi consacrare faraone: qui, infatti, il giogo persiano era maggiormente avvertito e poco accettato, poiché solo dodici anni prima il popolo era libero dal potere dei Persiani.
    La conquista dell'Egitto non era stata concordata con la lega di Corinto quindi il re macedone non poté unirla con il resto delle sue conquiste. Inoltre si astenne dal nominare un satrapo al quale preferì la collocazione strategica di alcune sue guarnigioni in posti chiave come Menfi e Pelusio. Per la gestione amministrativa del territorio furono scelti due nomarchi, Doloaspi e Petisi, mentre l'amministrazione delle finanze fu affidata ad un greco residente in Egitto, Cleomene di Naucrati. Assegnò ai suoi uomini cariche militari ma non civili. Durante la sua marcia apprese delle varie vittorie riportate dagli alleati: Lesbo, Tenedo e Cos erano ora in mano sua.
    Dimostrò grande rispetto per gli dei egiziani e una profonda devozione per Ramses II, suo mito e icona, in onore del quale costruì una stele; a Menfi fece un sacrificio al bue Api, ingraziandosi così i sacerdoti egiziani: tempo addietro, durante la riconquista persiana del territorio egiziano, Artaserse III uccise un toro sacro e ne divorò la carne, mentre il re macedone con questo gesto conquistò la fiducia del popolo.

    La costruzione di Alessandria
    All'inizio del 331 a.C., sulle rive del Nilo, Alessandro decise di edificare una grande città che testimoniasse la sua grandezza; si racconta però che dopo un sogno, nel quale gli furono recitati alcuni versi dell'Odissea sull'isola di Faro, decise di costruirla nella regione del Delta del Nilo su una stretta lingua di terra tra la palude Mareotide e il mare. Egli stesso disegnò la disposizione di piazze e mura da costruire (le linee del disegno furono tracciate sul suolo utilizzando della farina).
    La città venne chiamata Alessandria d'Egitto. Il progetto topografico fu realizzato dal celebre architetto dell'epoca Dinocrate di Rodi con la collaborazione di Cleomene da Naucrati. Le indicazioni fornite dal re macedone vennero rispettate. Fu la prima delle molte città a cui diede il suo nome.

    L'oracolo di Amon
    In seguito Alessandro (o forse prima, secondo alcuni studiosi) decise di andare a far visita al celebre santuario oracolare di Amon (l'equivalente di Zeus nella mitologia egizia). Per raggiungerlo dovette percorrere 200 miglia fino a quella che in seguito verrà chiamata Marsa Matruh, recandosi dunque all'oasi di Siwa nel deserto libico. Del viaggio si raccontarono gli episodi più incredibili, come i corvi che gracchiavano avvertendo i viaggiatori che avevano intrapreso la strada sbagliata o quello, riferito da Tolomeo, dei serpenti parlanti che gli avrebbero fatto da guida.
    Questo viaggio fu forse intrapreso perché Alessandro sapeva che lo avevano compiuto in precedenza Perseo ed Eracle. I resoconti vennero scritti venti mesi dopo l'accaduto, quindi il dialogo intercorso potrebbe essere stato inventato conoscendo i successivi avvenimenti favorevoli al Dio Alessandro.
    Le domande che pose furono più di una: chiese se avesse vendicato la morte del padre ma gli venne risposto che non si trattava di suo padre in quanto lui era una divinità. Allora riformulò la domanda chiedendo se degli uccisori di Filippo vi era rimasto qualcuno ancora in vita e se sarebbe diventato signore degli uomini. La risposta fu positiva per entrambe le richieste. Si narra che in quell'occasione l'oracolo compì un piccolo errore di pronuncia dicendo «paidios» (figlio di Zeus) invece di «paidion» (figlio), offrendogli in tal modo un punto di partenza per l'istituzione di un culto divino incentrato sulla sua persona. Davanti ai suoi alleati non volle però vantare questa discendenza.
    Arriano differisce da questa narrazione rivelando che il re macedone non pose le domande sopra citate ma supponeva che avesse chiesto, per via di indizi lasciati quattro anni dopo l'incontro, quali divinità avesse dovuto ingraziarsi per trionfare sui suoi nemici.
    Dopo un anno di sosta nel regno egiziano ritornò in Asia. Nel frattempo giunsero rinforzi inviati da Antipatro (circa 900 uomini).
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 12, 2014 3:00 pm

    Battaglia di Gaugamela (331 a.C.) e fine di Dario
    Preludio
    Nella primavera del 331 a.C. Alessandro riprese la marcia verso oriente dove Dario aveva radunato un esercito nelle pianure dell'Assiria. Qui il sovrano persiano avrebbe potuto sfruttare al meglio la propria superiorità numerica.
    L'armata macedone doveva attraversare l'Eufrate e quindi passare per Tapsaco. Al satrapo Mazeo venne affidato il compito di impedire all'esercito di Alessandro di prendere la via per Babilonia e di bloccare i rifornimenti di cibo ai Macedoni. I due eserciti si diedero battaglia fino a che Mazeo si ritirò. Nonostante il ritiro dei soldati persiani l'esercito macedone andò comunque verso nord cercando un clima più favorevole. Alessandro infine decise di attaccare l'esercito avversario temendo che potesse rifugiarsi in terre a lui maggiormente ostili.
    Il 20 settembre ci fu un eclissi lunare e il re macedone ne approfittò per opportuni sacrifici. Il Tigri fu guadato dall'esercito di Alessandro senza subire alcun attacco dal nemico. Durante la prosecuzione della marcia più volte si ebbero falsi avvistamenti dell'esercito persiano, come quello del 25 settembre; nello stesso giorno, grazie alla confessione di alcuni prigionieri, i soldati macedoni vennero a sapere che Dario e i suoi uomini erano vicini.
    Alessandro si fermò ad organizzare i suoi uomini per quattro giorni, fino alla sera del 29 settembre. Il re, nonostante i suoi consiglieri gli avessero suggerito di effettuare le prime mosse di notte, attese l'alba per intraprendere l'attacco, affermando che «non ruba le vittorie», e uccidendo una persona la sera stessa con un rituale misterioso. Successivamente cadde in un sonno talmente profondo che Parmenione si preoccupò a tal punto da chiedere al proprio re come mai dormisse come se avesse già vinto lo scontro imminente. Alessandro rispose che la battaglia era già praticamente vinta in quanto ci si doveva scontrare con un esercito che cercava di evitare ogni contatto.
    Il contatto con l'esercito di Dario avvenne all'alba del 1º ottobre, Lo scontro avvenne presso il villaggio di Gaugamela (poi Tell Gomel), nei pressi delle rovine di Ninive e non ad Arbela come qualcuno sosteneva.

    Forze in campo
    La battaglia fu di vitale importanza per Alessandro. Si racconta che egli avesse solo 30.000 fanti e 3.000 cavalieri contro un milione di Persiani. Il numero di Persiani, imprecisato in realtà, è secondo alcuni storici di numero molto inferiore a quanto si racconta e variava a seconda della fonte riportata:
    • Giustino: 600.000 soldati
    • Diodoro Siculo: 800.000 cavalieri e 200.000 fanti
    • Quinto Curzio Rufo: 600.000 fanti e 45.000 cavalieri
    • Arriano: 1.000.000 di fanti, 40.000 cavalieri, 200 carri e 15 elefanti armati

    L'armamentario persiano venne sostituito completamente nel tentativo di adeguarlo a quello macedone. Il punto debole dell'esercito di Dario rimaneva comunque la fanteria che non poteva rivaleggiare in abilità con la controparte. Questa unità militare venne abbandonata dai mercenari greci mentre i cardiaci non si dimostrarono all'altezza. Dario schierò al centro gli elefanti come ultima risorsa di difesa della propria persona. Le forze in campo stavolta erano schierate al meglio grazie anche alla conformità del terreno che il re volle perfetta, arrivando persino a spianare ogni rialzo del terreno Alle sue forze si erano uniti Besso dalla Battriana con 8.000 uomini, Mauace che guidava gli arcieri a cavallo, Barsaente al comando di circa 2.000 uomini, Frataferne con i Parti, Satibarzane, Atropate con i Medi, Orontobate, Ariobarzane e Orxine con la gente proveniente dalle sponde del Mar Rosso, Oxatre con gli Uxii e i Susiani (forse 2.000 uomini), Bupare con i Babilonesi, Ariace con i Cappadoci e infine Mazeo con parte dei Siriani, posizionato alla destra dello schieramento.
    A tale esercito Alessandro aveva frapposto gli eteri (circa 10.000) con le sarisse al centro, i portatori di scudo (circa 3.000) che coprivano la loro destra, i cavalieri (fra cui il re) ancora più a destra, poi arcieri (circa 2.000), frombolieri e lanciatori di giavellotto. Il lato sinistro affidato a Parmenione era quasi unito agli eteri. Ad entrambi i lati, per prevenire un possibile accerchiamento, vi erano due piccole unità nascoste e poste in obliquo rispetto al resto delle forze, pronte ad attaccare; se non fosse bastato avrebbero potuto ritirarsi per lasciare spazio alle riserve. Alessandro cercò solo di utilizzare al meglio le sue risorse, eliminando il superfluo nell'armamento. I suoi uomini più fidati, Clito il Nero, Glaucia, Aristone, Eraclide, Demetrio, Meleagro ed Egeloco, erano tutti ai comandi di Filota, figlio di Parmenione, mentre l'altro suo figlio, Nicanore, si trovava al centro insieme a Ceno, Perdicca, l'altro Meleagro, Poliperconte e Simmia. Nella parte più interna vi erano Cratero, Erigio, Filippo il figlio di Menelao, arrivando infine a Parmenione. Oltre a loro Andromaco guidava la cavalleria dei mercenari.
    Per evitare di essere accerchiato da un esercito tanto più numeroso del suo e disteso su un fronte lunghissimo, Alessandro aveva appositamente schierato una seconda linea dietro il fronte di battaglia. La vittoria fu decisa dall'attacco della cavalleria all'ala destra, da lui stesso guidata, mentre il generale Parmenione teneva fronte alla cavalleria nemica sul lato opposto.
    Alessandro si preparò in grande stile per la battaglia: portava una veste tessuta in Sicilia, il pettorale che faceva parte del bottino di Isso, l'elmo di ferro creato da Teofilo, la spada donatagli da uno dei re di Cipro, e un manto elaborato da Elicone, regalo della città di Rodi.

    La battaglia
    Dello scontro nessuno storico poté dare un resoconto certo per via dell'enorme confusione creatasi, tanto è vero che si concorda sulla conclusione in una nuvola di polvere: durante lo scontro la visibilità era ridotta di molto in quanto si poteva vedere ad una distanza di 4-5 metri ma non di più.
    L'attacco persiano degli Sciti e dei Battriani, volto ad aggirare il nemico, venne effettuato ma trovò il secondo sbarramento macedone come aveva previsto Alessandro nella sua tattica. I carri falcati vennero sommersi dai giavellotti, da frecce e altre armi da lancio e molti di essi rallentarono a tal punto da permettere ai macedoni di prenderne possesso balzandoci sopra uccidendo i guidatori. Altri furono bloccati prima che riuscissero a partire. C'è chi racconta della perdita di arti e di alcune teste che rotolavano per terra, e chi si sofferma sui cavalli che rovesciavano spaventati i carri.
    Le truppe di Mazeo si scontrarono con quelle di Parmenione arrivando in prossimità del campo dove erano segregati i prigionieri; fra questi spiccava la regina di Persia, madre di Dario, che non venne liberata in quanto i soldati si diedero alla fuga alla notizia della ritirata del loro re.
    Ci fu un attacco diretto da parte di Alessandro nei confronti del re nemico: il macedone colpì il cocchiere di Dario con una lancia uccidendolo. Il sovrano persiano, perso il carro, fuggì su di una giovane cavalla. Il conquistatore inseguì il nemico ma fu richiamato da alcuni messaggeri inviati da Parmenione che chiedeva aiuto per affrontare un gruppo nemico. Il re macedone, anche se terribilmente seccato da questa richiesta, fece finta di nulla e acconsentì permettendo all'avversario di salvarsi nuovamente. L'episodio del messaggero è molto discusso fra gli storici in quanto non è certa la sua collocazione temporale e non è chiaro nemmeno come abbia fatto ad individuare e raggiungere il proprio re in quella nuvola di polvere; forse era un modo per evidenziare l'incapacità di Parmenione. Altri discutono sull'atteggiamento di Dario: questa sarebbe la sua seconda fuga davanti al nemico e pare un'esagerazione se si pensa al coraggio che ha mostrato all'inizio del suo regno.
    Senza il comando reale le truppe rimanenti furono facile preda dei Macedoni. Inizialmente i Persiani pensavano che fosse il re ad essere stato trafitto dalla lancia. Successivamente, prima che si potessero riorganizzare, furono attaccati dalle truppe guidate da Arete. Se da un lato dello schieramento si inseguivano e uccidevano i nemici, dall'altro ancora si combatteva e Mazeo stava prevalendo sui Macedoni, a tal punto che solamente la tattica prefissata di Alessandro li salvò da morte certa. Ci fu un pesante scontro di cavalleria dove i Persiani cercarono un varco per fuggire dal campo, combattendo ormai solo per salvarsi. Lo scontro si spostò sul fiume Lico dove molti persiani furono inghiottiti per via dell'armamentario troppo pesante che possedevano e quando si fece buio la lotta terminò. Mazeo si ritirò a Babilonia dove successivamente si arrese agli invasori.
    I morti furono molti: se ne contavano circa sessantamila fra le file dei Macedoni. Molti di più i feriti fra cui Parmenione, Perdicca e in seguito anche Efestione. Per Arriano si contarono circa 300.000 morti fra i Persiani e solo un centinaio circa fra gli alleati di Alessandro, mentre Diodoro ne cita 90.000 fra i Persiani e 500 fra la coalizione macedone.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 12, 2014 3:08 pm

    Dopo Gaugamela
    Alessandro riprese l'inseguimento del re nemico appena le acque si furono calmate. Da poco superata la mezzanotte, partì alla volta di Arbela dove, giunto sul far del giorno, non trovò Dario (fuggito nei territori montuosi della Media) ma solo parte del suo tesoro. Non poté proseguire oltre poiché i cavalli erano esausti, tanto da doverne uccidere un migliaio. Durante il tragitto di ritorno verso il campo, il conquistatore fu attaccato da alcuni cavalieri e dovette trafiggerne qualcuno con la propria lancia prima di venire aiutato dai suoi uomini. Durante questo scontro Alessandro si espose in prima persona e, secondo Curzio Rufo, fu grazie al suo valore e non alla fortuna che ottenne la vittoria.
    Caddero nelle mani del re macedone magazzini, preziosi e decine di migliaia di prigionieri. Decise di informare i Greci che le loro città non erano più soggette alla tirannia e da ora in poi si sarebbero governate con leggi proprie (affermazione vera solo in parte considerando la Grecia del tempo). Divise quindi il bottino inviandone una parte ai Crotoniati, in Italia, per ricompensare il coraggio mostrato da Faullo durante la guerra persiana.
    Continuò la marcia, questa volta senza alcuno scontro. Degno di nota durante il tragitto fu l'incontrò di una voragine da cui continuamente usciva fuoco e nella quale si poteva osservare una corrente di uno strano liquido (nafta). Si trattava dei fuochi eterni di Baba Gurgan.
    Alla fine di ottobre Alessandro entrò in Babilonia dove ottenne la sottomissione del satrapo Mazeo. Quest'ultimo fu lasciato al governo della provincia affiancato da un comandante militare e da un tesoriere greco. Qui riposò circa cinque settimane ed ebbe tempo per osservare i giardini pensili costruiti da Nabucodonosor, cercando di far inserire in quella meraviglia anche piante di origine greca; ad eccezione dell'edera quest'idea non ebbe fortuna.
    Si diresse quindi a Susa, raggiungendola in venti giorni, per impadronirsi dei tesori che vi si conservavano. La città era sprovvista di mura. Qui Alessandro poté anche recuperare diverse opere d'arte sottratte da Serse in Grecia nel 480 a.C., tra cui il famoso gruppo statuario dei Tirannicidi Armodio e Aristogitone, che fece rispedire ad Atene; recuperò anche ingenti somme, come quarantamila talenti e forse altri cinquemila provenienti da altro luogo. A Susa lasciò i familiari di Dario. Il macedone si volle sedere sul trono del re persiano, evento tanto atteso dai sudditi a tal punto che Demarto non riuscì a trattenere le lacrime pensando ai morti lungo il percorso che persero tale spettacolo. Durante questo soggiorno diede molte ricompense ai suoi soldati: a Parmenione diede la casa di Bagoa (ufficiale che avvelenò e fu avvelenato) in cui vi trovò molte ricche vesti. Scrisse a sua madre e ad Antipatro, rimasti lontano, e sapendo che il secondo odiava la prima scrisse all'amico che le lacrime di una madre cancellavano il contenuto di mille lettere. Lasciò Susa verso la metà di dicembre.
    Dopo aver superato il fiume che all'epoca si chiamava Pasitigris (in seguito Karun), entrò poi nel territorio degli Uxii, a circa sessanta chilometri da Susa, che in parte non si arresero al nuovo re. Chiesero ad Alessandro un tributo da versare se avesse avuto intenzione di passare per le loro terre. La risposta del macedone fu quasi di sfida, chiedendo loro di farsi trovare pronti al momento del suo passaggio; poi li attaccò di notte, forte degli 8.000 uomini della falange, radendo al suolo ogni loro possedimento. Gli Uxii sopravvissuti attaccarono ancora ma furono sconfitti ogni volta. In una giornata il macedone risolse un problema che affliggeva il regno persiano da quasi due secoli.
    Restava ancora Ariobarzane, governatore della Perside, che voleva fuggire con il tesoro rimasto, sapendo che l'intero esercito macedone era più lento del suo. Alessandro divise in due parti i suoi uomini, avanzando con la metà più veloce e raggiungendolo in cinque giorni presso le porte persiane, nelle attuali montagne dello Zagros. Qui la lotta lo vide impegnato contro un congruo numero di nemici (40.000 uomini a cui si aggiungevano 700 cavalieri secondo Arriano, 25.000 soldati secondo Rufo, a cui Diodoro aggiunge 300 cavalieri). Per evitare di incappare in una sconfitta, Ariobarzane fece edificare un muro che ostruiva in parte l'unica strada percorribile dai Macedoni. Alessandro tentò un primo assalto che non diede alcun risultato, anche per via della frana provocata dagli stessi Persiani; si ritirò dunque qualche miglio più ad ovest, raggiungendo la radura denominata Mullah Susan. Qui vi era un'altra strada da prendere, a prima vista più ovvia, ma Alessandro la evitò non volendo lasciare i suoi morti «insepolti».
    La resa dei conti arrivò, grazie anche ad un pastore della zona, il quale rivelò ai macedoni un percorso che potevano intraprendere per aggirare i Persiani. Le truppe di Alessandro iniziarono l'attacco e successivamente vennero in sostegno quelle di Cratero. Ariobarzane riuscì comunque ad arrivare con pochi uomini sino a Persepoli ma i cittadini non gli aprirono le porte, costringendolo a tornare al combattimento trovando la morte.

    Persepoli
    Nel mese di gennaio dell'anno 330 a.C. Alessandro entrò infine a Persepoli (che poi divenne Takht-i Jamshid), capitale dell'Impero Persiano, dove trovò circa centoventimila talenti di metallo prezioso non coniato. Il re nemico aveva intanto trovato rifugio ad Hamadan (conosciuta all'epoca come Ecbàtana), dove fu raggiunto dai suoi uomini di fiducia (Besso, Barsaente, Satibarzane, Nabarzane, Artabazo) e da 2.000 mercenari greci. Alessandro rimase per un lungo periodo a Persepoli, inviando dei soldati a Pasargade e chiedendo a Susa l'invio di una grande quantità di animali da soma per il trasporto del denaro. Partì con una piccola parte dell'esercito, per circa trenta giorni, alla conquista delle tribù che si trovavano vicino alle colline della regione, sottomettendo i nomadi e il resto della provincia. Quando tornò, continuò a far dono, a chi lo aveva aiutato, di beni proporzionati all'aiuto offerto, come era nel suo stile. Prima di lasciare la città restituì il potere locale al governatore della città e affidò 3.000 macedoni ad un suo uomo di fiducia.
    Si dice che verso la fine della primavera Alessandro abbia dato l'ordine (o forse lui stesso fu direttamente l'artefice) di provocare un incendio, che devastò i palazzi, bruciando in parte anche il tesoro. In seguito furono analizzati i resti della sala delle cento colonne di Serse dove si comprese che le travi caddero e il fuoco si alimentò a dismisura. Si dice, secondo il racconto di Tolomeo, che contraddicendo un consiglio di Parmenione vendicò in tal modo l'incendio di Atene e la sorte di Babilonia. Plutarco, citando l'episodio, aggiunge che di questo atto se ne pentì immediatamente, dando ordine di spegnere l'incendio. Un'altra versione, tardiva rispetto alle precedenti, ritiene che l'incendio stesso possa essere nato per errore, sotto suggerimento di Taide, una donna greca che aveva viaggiato con Alessandro e i suoi uomini. Anche se l'episodio di Taide non trova gli storici concordi, la donna è, come si racconta nei Deipnosofisti, la compagna di Tolomeo, da cui avrà tre figli.
    In Grecia intanto Antipatro aveva sconfitto nella battaglia di Megalopoli (autunno del 331 a.C.) il re spartano Agide, eliminando definitivamente l'ultima opposizione delle città greche al dominio macedone.

    L'inseguimento di Dario
    Nel maggio del 330 a.C. Alessandro marciò verso Ecbàtana, che si trovava a 450 miglia di distanza da Persepoli. Durante il tragitto ricevette alcuni rinforzi, arrivando ad un totale di 50.000 uomini. Dario, sapendo della velocità con cui il suo nemico si stava muovendo, cambiò i suoi piani, non dirigendosi più verso Balkh (in Afghanistan) come aveva in precedenza previsto, ma verso le Porte Caspie, anche se fra i suoi uomini iniziarono a manifestarsi i primi dissensi. Durante la marcia l'esercito macedone patì la sete e molti soldati morirono lungo la strada.
    Il re macedone venne a conoscenza dei movimenti di Dario quando si trovava a Rei, vicino a Teheran. Raggiunse quindi il passo ma ad attenderlo c'erano due messaggeri che lo informarono di una rivolta iniziata da Besso, Barsaente e Nabarzane contro il loro re. Dario venne arrestato. Alessandro decise di raggiungere Besso, riuscendoci in un giorno e mezzo. Continuò poi la sua corsa essendo a conoscenza del luogo dove Dario era tenuto prigioniero; scelse 500 opliti, che fece montare a cavallo al posto dei cavalieri, e galoppò di notte percorrendo ottanta chilometri, arrivando poi all'alba a Damghan, dove giunsero in 60.
    Spaventati, i due satrapi rimasti, Barsaente e Satibarzane (o Nabarzane), pugnalarono il prigioniero e fuggirono. Alessandro non fece in tempo a vedere in vita il suo rivale un'ultima volta. Di diversa opinione, Plutarco riferisce che il re persiano riuscì a parlare con il soldato Polistrato bevendo dell'acqua da lui offerta e ricordando la clemenza verso i familiari catturati ringraziò attraverso lui il suo nemico.
    In ogni modo il conquistatore macedone, dopo aver coperto il cadavere con il suo mantello, lo riportò indietro e lo fece seppellire con tutti gli onori nelle tombe reali. Ad Ecbàtana, Alessandro congedò i contingenti delle città greche, poiché il compito di vendicare l'invasione della Grecia da parte di Serse era ormai concluso. Reclutò il fratello di Dario (Essatre) e strinse amicizia con Bagoa.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Gio Feb 13, 2014 1:04 pm

    Il destino degli assassini di Dario
    Besso si proclamò re di tutta l'Asia e con il nome di Artaserse V fu inseguito attraverso le regioni dell'Ircania. Durante il tragitto Bucefalo, che veniva utilizzato da Alessandro solo per le grandi occasioni e quindi normalmente veniva tenuto in custodia da alcuni soldati, venne catturato da alcuni barbari. Il re macedone appena venne a conoscenza del fatto inviò ai barbari un araldo, con cui minacciò di morte ognuno di loro e le rispettive famiglie. Questi ultimi, impauriti, restituirono subito il cavallo arrendendosi e Alessandro li trattò con onori, dando anche una ricompensa a chi gli riportò il fidato compagno.
    Durante il viaggio Alessandro arrivò a Zadracarta, capitale del Gurgan, con Cratero (che aveva sostituito sul fronte, per anzianità, Parmenione), e ottenne la sottomissione di Autofradate, di Frataferne e Nabarzane; Artabazo (il padre di Barsine) preferì invece trattare con il re macedone, il quale rimase qui per quindici giorni. In questo lasso di tempo, secondo alcune ricostruzioni, conobbe la regina delle Amazzoni che, in cerca di un erede, decise di giacere con lui per tredici giorni. Da quel periodo in poi ogni udienza con il re era controllata da uscieri e mazzieri al cui comando vi era Carete di Lesbo, riprendendo un'usanza persiana. Altre usanze vennero poi adottate, come quelle delle vesti, diadema compreso. Anche lo stile che utilizzava nella corrispondenza cambiò: ad eccezione di alcune persone fidate e stimate, come Focione o Antipatro, iniziò ad utilizzare il "noi" regale e le missive che raccontavano dell'Asia venivano sigillate come solevano fare i re persiani.
    Alessandro decise allora di concentrarsi su Satibarzane; giunto in Battriana, vicino a Mashhad incontrò il satrapo, che chiese di essere risparmiato. Il macedone acconsentì, restituendogli anche l'antico potere e affiancandogli un contingente macedone comandato da un suo fidato, Anaxippo. Appena allontanatosi, Alessandro seppe della morte di tutti i soldati che aveva lasciato e del tradimento del satrapo, ma non fece in tempo ad attaccarlo in quanto fuggì, lasciando l'intera zona (l'Aria) ai Macedoni e dirigendosi con 13.000 uomini verso Besso. Quasi tutti, ad eccezione del satrapo e di pochi altri, si erano rifugiati su una collina che sembrava inespugnabile, ma grazie al vento favorevole si decise di appiccare un incendio; il risultato fu disastroso per i nemici. Molti dei soldati fedeli al satrapo bruciarono, altri si gettarono dal dirupo, pochi si arresero scampando per poco alla morte. Onorando la vittoria venne fondata un'altra città, Alessandria degli Arii, la futura Herat, affidando la zona al satrapo Arsame. Quest'ultimo appoggiò, appena ne ebbe l'occasione, gli avversari di Alessandro; venne quindi affrontato e ucciso da un gruppo di soldati comandati da Erigio e il nuovo governo fu affidato al cipriota Stasanore.
    Alessandro si diresse verso l'Aracosia, arrivando in Drangiana (l'attuale Afghanistan occidentale). Barsaente, sapendo del suo arrivo, preferì fuggire presso una popolazione indiana del Punjab, che lo tradì consegnandolo al conquistatore macedone; fu quindi condannato a morte per l'omicidio di Dario.
    In queste regioni il re macedone fondò una serie di città con il nome di Alessandria, tra cui quella nota con il nome di Alessandria del Caucaso, che non ebbe un lungo futuro: scavi effettuati a Bor-i-Abdullah (a sud della futura Begram) portarono alla luce resti di una città fondata successivamente a quella del re macedone e di un'altra presso l'attuale Kandahar, in Afghanistan. Dopo aver indugiato per alcuni mesi (ripartì probabilmente a maggio o dopo), Alessandro arrivò sino all'Hindu Kush, celebrato da Aristotele, convinto che sopra tali vette si poteva osservare la fine del mondo orientale.
    Scendendo l'Hindu Kush, i soldati macedoni dovettero affrontare la fame; il cibo era venduto a prezzi esorbitanti e non trovando foraggio per gli animali, molti di essi vennero uccisi per cibarsi delle loro carni. Se Besso avesse continuato con la sua tecnica di bruciare i campi, o se in quel momento di debolezza avesse attaccato, avrebbe avuto buone probabilità di vittoria; invece cambiò strategia, bruciando solo le barche dopo aver attraversato il fiume Osso (oggi Amudarja). Per tale condotta venne abbandonato da buona parte del suo esercito. Le sue motivazioni sono forse da ricercare nelle azioni compiute da Artabazo, che aveva sconfitto e ucciso Satibarzane in una battaglia non lontano da Herat.
    Attraversando Kundz, Alessandro arrivò sino a Balkh. Per continuare l'inseguimento si cercò di evitare la marcia diurna a causa dell'eccessivo caldo. Arrivati vicino a Kilif, decise di congedare feriti, anziani e quei pochi Tessali che avevano preso congedo tempo addietro, pagandoli lautamente.
    Rimaneva il problema di come attraversare quel profondo fiume, dove non era affatto facile costruirvi un ponte; si decise quindi di riempire delle pelli di paglia secca e cucirle tutte insieme, costruendo in tal modo delle zattere in grado di galleggiare. L'intero esercito riuscì ad attraversare il fiume in cinque giorni.
    Besso, che si trovava in compagnia di un altro generale, Spitamene, fu infine abbandonato dai suoi compagni, tradito e fatto prigioniero. Venne successivamente consegnato nudo a Tolomeo e arrestato nell'anno 329 a.C. Fu poi mutilato e una corte di giustizia persiana lo dichiarò colpevole di alto tradimento, venendo infine giustiziato ad Ecbàtana.
    L'agire di Spitamene non fu inizialmente chiaro ad Alessandro che pensava volesse arrendersi, mentre voleva invece solo disfarsi di un alleato poco affidabile.

    La sorte di Parmenione e dei suoi figli
    (EN) « What I like in Alexander the Great is not this campaigns...but his political methods...He was right in ordering the murder of Parmenion, who like a fool objected to Alexander's giving up Greek customs »
    (IT) « Cosa mi piace in Alessandro il grande non è la sua campagna militare ma la sua politica. Fece bene a far uccidere Parmenione che era uno stupido che considerava sbagliato abbandonare le usanze greche »
    (Napoleone Bonaparte, durante l'esilio sull'isola di Sant'Elena Traduzione in parte di Guido Paduano, contenuta nel testo Alessandro Magno di Robin Lane Fox, pag 295.)
    Quando le truppe di Alessandro trovarono riposo a Farah, si notò lo strano comportamento di Parmenione che non ubbidiva più agli ordini; l'ultimo datogli, quello di raggiungere il re con i suoi 25.000 uomini, venne ignorato (a quel tempo il re poteva contare su una forza di poco maggiore). I figli di Parmenione ricoprivano ruoli di prestigio all'interno dell'esercito macedone, ma Nicanore morì di malattia nel mese di ottobre del 330 a.C. mentre Filota, comandante della cavalleria, fu testimone di un complotto contro il re; alcuni resoconti riportano il macedone Dimno (o Dymno) che, venuto a conoscenza dei preparativi dell'attentato contro Alessandro, raccontò il tutto al suo amante Nicomaco. Quest'ultimo rivelò, a sua volta, l'esistenza del complotto al fratello Cebalino, il quale lo riferì, tre giorni prima dell'attentato, a Filota. Passarono i primi due giorni senza che l'ufficiale avesse raccontato nulla al suo re, anche se più volte al giorno ne avesse avuto la possibilità. Cebalino, preoccupato, raccontò ad un'altra persona dell'attentato, la quale corse subito da Alessandro.
    Il re macedone fece convocare Dimno che preferì uccidersi; l'unico dato certo allora era che Filota sapeva dell'intrigo e non ne aveva parlato con lui. Seguendo il consiglio di Cratero, durante la notte il colpevole fu sorpreso nella sua tenda, catturato e messo in catene. Differisce da questo, solo inizialmente, il racconto di Plutarco: secondo l'autore era Limno di Calestra colui che disse al suo amato Nicomaco (e fratello di Cebalino) del complotto, ma solo perché sperava che anche lui ne facesse parte come Limno stesso; inoltre Filota era da tempo controllato da una donna, Antigone. Dimno è citato da Curzio Rufo e Diodoro Siculo.
    Alessandro, in Egitto, non aveva dato retta alle insinuazioni di un coinvolgimento dello stesso Filota in un complotto ordito contro di lui, ma questa volta fu condannato per alto tradimento dal tribunale dell'esercito e ucciso con i complici a colpi di lancia; secondo altri venne prima torturato e solo al momento della confessione venne ucciso. Qualcuno riferisce anche che avesse fatto il nome del vero cospiratore, un certo Egeloco, morto poco prima.
    Il re macedone non si riteneva ancora soddisfatto e cercò altri possibili traditori fra gli amici di Filota; uno di essi fuggì rapidamente e i suoi fratelli vennero arrestati (ma seppero difendersi a parole fino a scagionarsi), mentre il prigioniero Alessandro di Lincestide venne condannato a morte. Alla condanna scampò invece Demetrio, una sua guardia del corpo.
    Alessandro venuto forse a conoscenza di una lettera scritta da Parmenione ai suoi figli, dove riferiva di oscuri piani, lo fece uccidere da alcuni suoi stessi ufficiali. La stessa sorte toccò al terzo figlio di Parmenione, per prevenirne una possibile ribellione; Alessandro era infatti preoccupato da una probabile unione tra i soldati di Clito e quelli fedeli a Parmenione, la quale avrebbe portato alla formazione di un esercito numericamente superiore al suo. Vi erano ancora dei simpatizzanti del generale: questi vennero radunati in una piccola unità che combatté con coraggio, mentre gli eteri, comandati in precedenza da Filota, vennero affidati ad Efestione e a Clito. Prima di lasciare la città di Farah, Alessandro decise di cambiarle nome, chiamandola Proftasia (Anticipo).

    Guerriglie in Sogdiana
    Alessandro era intento a combattere il suo ultimo avversario persiano degno di nota, Spitamene, ma non fu facile, in quanto questi riuscì a mettere contro i macedoni buona parte della nobiltà della Sogdiana. Il re macedone, all'altezza del fiume Syr Darya, aveva lasciato alcuni contingenti nelle varie fortezze (sette in tutto) che dovevano proteggere i confini al nord. Trascorse un breve periodo prima che tutte le truppe venissero massacrate e gli avamposti conquistati.
    In pochi giorni Alessandro riuscì a riconquistare tutte le fortezze, rendendo schiavi i sopravvissuti nemici. Solo contro Ciropoli, la più imponente, ebbe difficoltà; inizialmente venne soltanto isolata e messa sotto assedio da Cratero per impedire il sopraggiungere di eventuali rinforzi nemici, ma quando cominciò l'attacco venne notato un passaggio fortuito: un corso d'acqua prosciugato che passava sotto le mura. I Macedoni riuscirono così a penetrare nella fortezza e aprirono le porte agli assalitori. Alcuni resoconti riportano che durante questa azione Alessandro fu colpito in testa e al collo da un lancio di una pietra.
    Successivamente la tattica di Spitamene apparve chiara: attaccare la parte dell'impero rimasta scoperta dall'assenza di Alessandro. Attaccò così Samarcanda e il re macedone inviò circa 2.300 mercenari con a capo Farnuce, restando con circa 25.000 uomini. I Macedoni dovettero affrontare gli Sciti che si trovavano sul lato opposto del fiume, dapprima con l'uso di catapulte (armi mai viste da questo popolo); impauriti dalla morte di un loro generale, gli Sciti cominciarono ad eseguire una ritirata ma i soldati di Alessandro attraversarono il fiume. Parte degli uomini nemici, cavalieri senza armatura o quasi, iniziarono un accerchiamento ai danni dei Macedoni, colpendoli ripetutamente con le frecce, ma furono vittime di un inganno di Alessandro, il quale aveva inviato contro di loro un'avanguardia debole e quando essi furono circondati li assalì con un contingente più forte. I nemici fuggirono ma i macedoni, forse per avere ingerito dell'acqua malsana, non riuscirono ad inseguirli.
    Nel frattempo tutti i soldati inviati in precedenza da Alessandro vennero attaccati su un'isola del fiume Zeravshan e uccisi sino all'ultimo uomo da un'azione guidata direttamente da Spitamene. Alessandro, venuto a conoscenza dell'accaduto, in tre giorni con 7.000 uomini al seguito cercò di raggiungere il nemico senza riuscirci; ormai il numero dei soldati era sceso a circa 25.000.[249] Gli vennero in aiuto altri 21.600 uomini provenienti dalla Grecia, guidati da Asandro e Nearco.
    Alessandro lasciò una parte dei soldati a Cratero ma le incursioni di Spitamene continuarono, fino a quando quest'ultimo non subì una prima sconfitta a Ceno. Tradito subito dopo dai suoi alleati, fu offerta al re macedone la sua testa; Alessandro gli rese gli onori facendo in modo che il generale Seleuco sposasse sua figlia.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Gio Feb 13, 2014 1:09 pm

    La sorte di Clito
    Il proposito di Alessandro di unificare in un solo popolo Greci e Persiani e soprattutto la sua idea di dare un carattere divino alla monarchia, cominciarono ad alienargli le simpatie del suo seguito. L'opposizione si manifestò soprattutto quando decise di imporre il cerimoniale della proskýnesis, tipico della corte persiana, ai suoi sudditi occidentali; la cerimonia prevedeva che chiunque comparisse davanti al re si prosternasse davanti a lui per poi rialzarsi e ricevere il bacio e ciò andava contro l'idea greca di omaggio accettabile da parte di un uomo libero ad un altro uomo. Alessandro dovette comunque abbandonare il tentativo di introdurre tale pratica (che comunque non aveva reso obbligatoria), dato che quasi tutti i Greci e i Macedoni si rifiutavano di eseguirla.
    A Samarcanda nel 328 a.C., Alessandro, durante una serata di festeggiamento con i suoi generali e ufficiali, accolse alcuni uomini giunti dalla costa, venuti ad offrire della frutta al loro signore. Il re incaricò Clito il Nero di portarli dinnanzi al suo cospetto e per incontrarli dovette sospendere un sacrificio in atto, cosa mal vista dagli indovini. In seguito, durante il banchetto si ascoltarono i versi di un poeta di corte, un certo Pranico, che schernì i generali. Clito, in stato di ebbrezza, si offese più degli altri, ricordando al re di avergli salvato la vita tempo addietro (nella battaglia del Granico). Seguirono parole dure da entrambe le parti; il generale criticava aspramente la politica di integrazione fra Macedoni e Persiani perseguita da Alessandro e lo definì non all'altezza di suo padre Filippo, il vero Macedone. Il re dopo aver parlato con Artemio di Colofone e Senodo di Cardia gli lanciò contro una mela cercando subito dopo una lama, arma subito sottratta da Aristofane. Alessandro prese poi a pugni colui che aveva rifiutato di suonare la tromba mentre gli amici di Clito cercavano di allontanarlo. Il peggio avvenne quando Clito ritornò citando dei versi di Euripide, dove ricordava che il merito delle vittorie in battaglia era dei soldati, cosa che i capi dimenticavano. Al sentire quelle parole Alessandro prese una lancia e lo trafisse, uccidendolo.
    Nel 327 a.C. fu scoperta una congiura tra i paggi del re, che furono tutti condannati a morte e giustiziati. Ne fece le spese anche Callistene, nipote di Aristotele e storiografo di corte, strenuo oppositore della cerimonia della proskýnesis e maestro dei paggi, che venne tenuto prigioniero e poi giustiziato, alienando ad Alessandro molte simpatie del mondo intellettuale e filosofico greco.

    Spedizione in India
    Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Turkestan cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamò Eschate (Ultima), l'odierna Chodjend. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.

    Invasione dell'India
    Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emerse. Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, il quale fece esplorare l'intera valle dell'Indo, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro.
    Dopo aver preparato un nuovo esercito, con truppe in gran parte asiatiche (solo gli ufficiali e i comandanti erano tutti greci o macedoni), nella primavera del 326 a.C. Alessandro marciò verso l'odierna Kabul, dove venne accolto come alleato dal re di Taxila e, attraversata l'Uḍḍiyana da Ora a Bazira (attuali Udegram e Barikot), giunse all'Indo nell'estate del 326 a.C. Sconfisse nella battaglia dell'Idaspe il re indiano Poro (Purushotthama o Paurava), in una battaglia dura e sanguinosa, e fondò due città, Nicaea (odierna Mong o Mung) e Bucefala (oggi Jehlum), quest'ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia.
    Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi (oggi Beas), stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il Regno Magadha stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est.

    Ritorno
    Alessandro seguì quindi la valle dell'Indo fino alla sua foce, dove sorgeva la città di Pattala. Da qui spedì una parte dell'esercito, al comando di Cratero, verso l'Afghanistan meridionale, mentre egli seguì la costa attraversando la regione desertica della Gedrosia (attuale Makran nel Pakistan e nell'Iran meridionale). La discesa del corso dell'Indo fu accompagnata da una dura lotta, combattuta con inaudita ferocia, contro la guerriglia che ostacolava la marcia dell'esercito macedone. Nell'assalto alla rocca di Aorno (odierna Pir Sar, Pakistan) una freccia colpì Alessandro, trapassando la corazza della sua armatura (e con essa anche la pleura e un polmone); il condottiero scampò di poco alla morte.
    Inviò inoltre una flotta, al comando del cretese Nearco, ad esplorare le coste del Golfo Persico sino alle foci del Tigri. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati (tra cui gli Ittiofagi) fatta da Nearco ci è nota grazie soprattutto all'inserimento del suo diario negli Indikà ("Resoconti dell'India") di Arriano.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Gio Feb 13, 2014 1:16 pm

    Ultimo periodo di regno e morte
    Nel 324 a.C. Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.
    Per perseguire il suo progetto di unione tra Greci e Persiani, il re spinse ottanta alti ufficiali del suo esercito alle nozze con nobili persiane e altri diecimila veterani macedoni si sposarono con donne della regione. Egli stesso sposò Statira, figlia di Dario III, mentre un'altra figlia del re persiano, Dripetide, andò in sposa al suo amico Efestione.
    Passò per la prima volta in rassegna il nuovo corpo militare di 30.000 giovani Persiani, accuratamente scelti e addestrati per formare una falange macedone. Diecimila veterani furono congedati e rimandati in Macedonia con Cratero, quest'ultimo incaricato di sostituire Antipatro che era venuto in contrasto con la madre di Alessandro, Olimpiade; Antipatro dovette recarsi in Asia con nuove reclute.
    Durante l'inverno il re si ritirò ad Ecbàtana seguendo l'usanza della corte persiana. Qui morì Efestione, per il quale Alessandro soffrì terribilmente: rase al suolo un vicino villaggio, passando alla spada tutti i suoi abitanti come "sacrificio" nei confronti dell'amico e rimase a lutto per sei mesi; inoltre progettò un grandioso monumento funerario mai finito.
    Nella primavera del 323 a.C. Alessandro condusse una spedizione contro il popolo montanaro dei Cossei e inviò una spedizione per esplorare le coste del Mar Caspio.
    Durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una malattia che lo portò alla morte il 13 giugno del 323 a.C., al tramonto. Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile. Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336 a.C., un eccessivo abuso di alcool durante una cena.
    Ebbe due figli: Eracle di Macedonia, nato nel 327 a.C. da Barsine (figlia del satrapo Artabazus di Frigia) e Alessandro IV di Macedonia, nato nel 323 a.C. da Rossane (figlia del satrapo Ossiarte di Battriana). Alcuni storici gli attribuirono anche numerosi amanti, tra i quali l'amico Efestione e Bagoas.

    Successione
    Al morente Alessandro fu chiesto il nome di colui che aveva scelto come suo successore. Egli diede un'indistinta risposta nella quale qualcuno comprese Eracle (il figlio avuto da Barsine) e altri Kratisto (termine che tradotto significa "il migliore").
    Subito dopo il suo decesso, ci fu la cosiddetta Spartizione di Babilonia, che vide contrapporsi due linee di successione: il figlio di Alessandro avuto dalla moglie Rossane, Alessandro IV, e il suo fratellastro Filippo Arrideo. Poiché il primo era ancora in fasce e il secondo era infermo di mente, i generali dell'esercito macedone (Diadochi) elessero un reggente, Perdicca, successivamente accettato in modo formale dall'assemblea dei soldati.
    Nel 322 a.C. Perdicca si scontrò con Tolomeo (uno dei Diadochi e satrapo d'Egitto), contro il quale mosse guerra e rimase ucciso.
    Successivamente i Diadochi elessero come reggente Antipatro, anche se non fu accettato da tutti. Ne nacque una guerra civile nel corso della quale trovarono la morte i familiari ancora in vita di Alessandro, tra cui i due figli, la moglie Rossane, la madre Olimpiade, la sorella Cleopatra, la sorellastra Euridice e il fratellastro Filippo.

    Fonti storiche e leggenda
    Le fonti storiche su Alessandro sono piuttosto numerose. Conosciamo l'esistenza di resoconti provenienti dallo storico di corte Callistene, dal generale Tolomeo, dall'architetto militare Aristobulo e da Clitarco di Alessandria; queste opere sono tuttavia andate perdute.
    I principali storici che successivamente trattarono delle sue vicende sono:
    • Flavio Arriano, storico di Nicomedia (Anabasis Alexandri, ovvero Le campagne di Alessandro, scritto in greco e di carattere prevalentemente militare);
    • Quinto Curzio Rufo, storico romano (Historiae Alexandri Magni Macedonis, biografia di Alessandro in dieci libri, mutila dei primi due, in cui l'autore traccia un ritratto non privo di ombre del re macedone assieme alla successiva vicenda dei Diadochi);
    • Plutarco di Cheronea, storico greco (Vita Alexandri e due orazioni De Alexandri fortuna e De Alexandri virtute);
    • Diodoro Siculo, storico greco (i libri dal XVII al XXI della sua Bibliothekè Historikè coprono le conquiste di Alessandro e la successiva storia dei Diadochi); per lui il passaggio di Alessandro in Asia costituiva un evento di fondamentale importanza storica;
    • Giustino, storico romano, ci ha invece lasciato un'epitome (o "riassunto") della storia universale di Pompeo Trogo (Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi Libri XLIV);
    • Paolo Orosio, storico latino cristiano (Historiarum adversos paganos Libri VII), tratta ampiamente di Alessandro nel libro III, tracciandone un ritratto complessivamente negativo);

    Ognuno offre una differente immagine del re macedone e, come dice Strabone, "tutti coloro che scrissero di Alessandro preferirono il meraviglioso al vero".
    Alessandro divenne una leggenda mentre era ancora in vita ed episodi meravigliosi furono narrati già dai sui contemporanei che avevano assistito alle sue imprese. Oggi il suo nome viene equiparato ai più grandi condottieri di ogni tempo come Giulio Cesare e Gengis Khan.
    Nel secolo successivo alla sua morte, i racconti leggendari sulla sua vita furono raccolti ad Alessandria d'Egitto nel Romanzo di Alessandro, falsamente attribuito a Callistene (l'autore è a volte citato come pseudo Callistene). Questo testo ebbe grande diffusione per tutta l'antichità e il Medioevo, con numerose versioni e revisioni. In epoca tardo-antica venne tradotto in lingua latina e in siriaco, da qui poi divulgato in moltissime lingue, compreso l'arabo, il persiano e le lingue slave. Questo documento costituisce probabilmente la fonte della citazione di Alessandro nel Corano.
    È invece andata quasi completamente perduta la Alessandriade (Αλεξανδριάς), un poema epico scritto dal poeta Adriano e del quale è pervenuta una sola linea.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Ven Feb 14, 2014 3:04 pm

    OLIMPIADE D'EPIRO
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    Olimpiade (in greco antico Ὀλύμπιας, traslitterato in Olýmpias 375 a.C. circa – 316 a.C.) fu una principessa epirota, moglie di Filippo II di Macedonia e madre di Alessandro Magno.

    Biografia
    Origini familiari
    Nacque con il nome di Myrtale, nel 375 a.C. da Neottolemo I re dell'Epiro erede della stirpe di Molosso, a sua volta diretto discendente di Neottolemo e di Andromaca.
    Orfana del padre, il fratello di questi Arriba, suo successore, a suggello di accordi diplomatici, diede in sposa la nipote ormai sedicenne a Filippo II.

    Matrimonio con Filippo e rapporti con i figli
    Istruita da Aristotele, moglie di Filippo, di cui era la terza moglie, e che l'aveva esiliata già nel 357 a.C. poi richiamandola a Pella perché incinta, avrebbe dato due figli: il loro primogenito Alessandro (nato nel 356 a.C.) e Cleopatra.
    Nello stesso anno, Filippo II le impose il nome Olimpiade, con cui è universalmente nota, a seguito della sua vittoria nei giochi olimpici tenuti proprio in quel periodo.
    Quanto alla nascita del primogenito, cui fu molto legata, si riportano numerose leggende, esposte sinteticamente da Plutarco, secondo cui Olimpiade non avrebbe generato Alessandro da Filippo ma bensì da Zeus, in forma di serpente o che, in ogni caso, fosse solita praticare riti orfici e dionisiaci tipici delle popolazioni degli Edoni e dei Traci e che nelle processioni portasse grandi serpenti addomesticati. Sempre Plutarco ricorda quanto Alessandro fosse solito propagandare tale diceria e che, a tale proposito, Olimpiade protestava: "Quando la smetterà Alessandro di calunniarmi di fronte a Era?".
    Se il rapporto con il marito Filippo non fu mai positivo sia per la poligamia, da questi tenuta, sia dai riti dionisiaci, cui Olimpiade era devota, quello con il figlio primogenito fu estremamente profondo: il figlio, infatti, mutuò da lei la spiritualità intrisa di passionalità, la tensione mistica, l'ansia sempre inappagata di spingersi 'oltre'.

    Ritorno in Epiro e assassinio di Filippo
    In ogni caso, la situazione famigliare degenerò quando Filippo decise di sposare Euridice, figlia del generale Attalo ed in quanto tale membro della più antica nobiltà macedone.
    Al matrimonio, Attalo offese Alessandro il quale prese apertamente le parti della madre e con costei fuggì alla corte dello zio Alessandro I d'Epiro, fratello minore di Olimpiade. Durante la permanenza in Epiro, la regina, dopo aver tentato di indurre il fratello ad impegnarsi in un conflitto con la Macedonia, continuò a capeggiare gli interessi della fazione vicina al figlio per poi negoziare un matrimonio con la figlia di Pissodaro, sovrano di Alicarnasso che irritò non poco Filippo, impegnato nei preparativi della spedizione in Asia.
    Dopo un anno, Alessandro fu richiamato mentre Olimpiade continuò a risiedere in Epiro finché, nel 336 a.C., al matrimonio tra Alessandro I d'Epiro e Cleopatra, figlia di Olimpiade e Filippo II, il re non fu ucciso da una sua guardia del corpo, Pausania di Orestide.
    Tale delitto, certamente premeditato data la presenza di cavalli che avrebbero dovuto permettere la fuga di Pausania, vide forse la connivenza di Olimpiade come suggerisce apertamente lo storico Diodoro Siculo ricordando che Olimpiade stessa commissionò un monumento in onore di Pausania.

    Durante il regno di Alessandro
    Alla morte del padre, Alessandro venne acclamato dall'esercito come nuovo re di Macedonia. Olimpiade collaborò con il figlio all'eliminazione dei possibili rivali al trono: furono uccisi circa quindici presunti rivali; Olimpiade costrinse al suicidio la nuova moglie del marito, Euridice, e ne fece eliminare i figli.
    Quando le città greche si ribellarono, Olimpiade ebbe contrasti con il figlio per ragioni non chiare tanto che, anche quando, nel 335 a.C., lo aiutò a reprimere la ribellione, Alessandro decise comunque di allontanare dal potere la madre.
    Infatti, nei dodici anni in cui Alessandro fu impegnato in Asia fino alla sua morte, il re affidò il governo del regno di Macedonia ad un reggente, Antipatro e, sebbene intrattenesse frequenti rapporti epistolari con la madre, rifiutò di ascoltare i consigli in merito ai propri amici personali, specialmente Efestione, né le permise di interferire nelle competenze di Antipatro.
    In ogni caso i rapporti tra la regina madre ed il reggente erano pessimi e assai spesso riportavano ad Alessandro pressanti lamentele sul conto dell'altro e che Alessandro cercava di ignorare sebbene un giorno, dopo aver letto una missiva di Antipatro, particolarmente aspra nei confronti di Olimpiade, esclamasse: "Antipatro non sapeva che una sola lacrima di madre cancella diecimila lettere (come quella)"
    Negli ultimi mesi di vita, però, il re cominciò a diffidare dei propri amici e per fare cessare le frizioni continue tra Antipatro e Olimpiade che, spalleggiata dalla figlia Cleopatra, lo aveva esautorato dal governo, decise di sostituirlo con Cratero.
    La morte di Alessandro, tuttavia, il 10 0 l'11 giugno del 323 a.C., in cui, peraltro, la regina sospettava un coinvolgimento di Antipatro (tramite il figlio Iolao, capo dei coppieri di corte), causò un inatteso e profondo cambio di regime che permise ad Antipatro di conservare il proprio potere.

    Dopo la morte del figlio
    Alla morte di Alessandro, infatti, i suoi generali, anche per via dei dissensi sorti tra la truppa, con l'accordo di Babilonia, nominarono come sovrano, Filippo Arrideo, fratellastro di Alessandro Magno ed, essendo questi debole di mente, elessero come reggente Perdicca per poi dividersi il governo delle diverse satrapie.

    Guerra lamiaca
    Con tale accordo, Atnipatro ottenne il controllo completo della Macedonia e della Grecia e pertanto Olimpiade ritenne prudente rifugiarsi in Epiro presso suo cugino Re Eacida (il padre di Pirro). Nel 322 a.C., allo scoppio della Guerra lamiaca, tentò di indurre Eacida ad unirsi alla lega greca contro Antipatro; non avendo successo, indusse Leonnato, dietro la promessa della mano della principessa Cleopatra, sorella di Alessandro Magno ad ostacolare Antipatro.
    La vittoria di Antipatro e Cratero sui greci e la morte di Leonnato indussero la regina a cambiare progetti e a volgere la propria attenzione su Perdicca cui fece la stessa promessa fatta a Leonnato per impedire che questi si maritasse con Nicea, figlia di Antipatro. Anche questo progetto, tuttavia, fallì per la morte di Perdicca (321 a.C.) per mano dei suoi stessi ufficiali mentre era intento in una spedizione militare contro Tolomeo che cercava divincolarsi dal potere centrale.

    Appoggio a Poliperconte
    Pertanto Olimpiade fu costretta a restare in Epiro fino alla morte dell'ormai anziano Antipatro, avvenuta nel 319 a.C.. In ogni caso il suo nome contava ancor molto in Macedonia ed il nuovo reggente, Poliperconte, tentò di rafforzare la propria posizione, insidiata da Cassandro, figlio di Antipatro, invitando la regina a tornare a Pella insieme al nipote Alessandro, il figlio di Rossane. Olimpiade, però, seguendo il consiglio di Eumene di Cardia, rimase in Epiro anche se non lesinò appoggi a Poliperconte e allo stesso Eumene.

    Ritorno in Patria
    Dopo tre anni di stasi, tuttavia, la regina decise di scendere in campo personalmente, alla testa di un esercito fornitole dal cugino Eacida, contro Cassandro e Filippo Arrideo: l'esercito macedone rifiutò di combattere la madre di Alessandro Magno e così Olimpiade poté catturare ad Anfipoli Arrideo e la moglie Euridice che prontamente furono assassinati insieme a Nicanore, fratello di Cassandro e a centinaia dei loro seguaci.

    Assedio di Pella e morte
    Il suo successo fu di breve durata poiché la feroce repressione di ogni opposizione alienò il consenso dei macedoni ed indusse Cassandro, intento ad assediare la città di Tegea, a ritornare in Macedonia. Olimpiade, allora, insieme a Rossane e Alessandro IV, si rinchiusero nella capitale, Pella, confidando di resistere fino all'arrivo di rinforzi.
    Cassandro, tagliate tutte le vie di soccorso, pose l'assedio a Pella finché la popolazione della città, dopo aver subito un durissimo inverno ed una forte carestia, indusse Olimpiade ad arrendersi nella primavera del 316 a.C. alla condizione di aver salva la vita.
    Cassandro, tuttavia, violando i patti, convocò un'assemblea affinché giudicasse la regina madre per il regicidio di Filippo Arrideo. L'assemblea, senza aver fissato ad Olimpiade alcuna udienza per discolparsi delle accuse, la condannò a morte. La regina, protestò duramente e chiese di poter essere ascoltata ma Cassandro, temendone l'ascendente, inviò un drappello di soldati e di parenti di coloro che Olimpiade aveva fatto giustiziare.
    Secondo alcuni, allora, vista l'impossibilità di salvezza, Olimpiade scelse il suicidio ma Giustino, in disaccordo, afferma che avrebbe affrontato con grande dignità sia la folla dei Macedoni aizzatale contro da Cassandro, sia i sicari inviati da questi ad ucciderla, i quali, cedendo al suo contegno e al rispetto per lei si rifiutarono di eseguire l'ordine, sia i parenti di coloro che aveva fatto uccidere, i quali mandati anch'essi da Cassandro infine la assassinarono per strangolamento.
    Infine, per ordine di Cassandro, non ebbe pubblici funerali.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Dom Feb 16, 2014 3:15 pm

    FILIPPO II DI MACEDONIA
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    « Porterò la guerra in Persia e l'oro Persiano in Grecia. »
    Filippo II (in greco antico Φίλιππος Β' ο Μακεδών Pella, 382 a.C. – Aigai, 336 a.C.) fu re di Macedonia dal 359 a.C. al 336 a.C., e padre di Alessandro Magno e Filippo III di Macedonia.

    Biografia
    Gioventù
    Filippo nacque a Pella, capitale dello stato macedone, nel 382 a.C., figlio minore di re Aminta III e della regina Euridice che in precedenza avevano avuto Alessandro II e Perdicca III, quest'ultimo nato poco meno di un anno prima. Della sua infanzia, nulla è noto, salvo il fatto che il parto fu assai difficile e che, non potendo la madre, Euridice, svezzarlo, fu affidato ad una balia.

    Ostaggio
    Alla morte di Aminta nel 370, gli era succeduto sul trono il fratello, il figlio maggiore, Alessandro II. Durante il regno di Alessandro visse per un periodo come ostaggio tra il popolo degli Illiri, a seguito di un trattato che prevedeva uno scambio di ostaggi temporaneo. Fuggì poco dopo, quando Pleurato, nipote e unico erede sopravvissuto di Bardilli, re degli Illiri e padre della nonna di Filippo, progettò di ucciderlo per evitare che Bardilli si affezionasse a Filippo tanto da designarlo come unico erede.
    Tale vicenda è, tuttavia, controversa: Diodoro scrive che furono gli stessi illiri a consegnarlo come ostaggio ai Tebani presso i quali Filippo passò ben dieci anni della sua esistenza soggiornando nella casa paterna di Epanimonda ma, in un altro passo, riporta che Filippo fu uno di quegli ostaggi consegnati, nel 368 a.C., a Pelopida da Alessandro II e Tolomeo di Aloro: Plutarco avvallò questa seconda ipotesi mentre Giustino riporta che Alessandro diede il fratello come ostaggio prima agli Illiri e poi ai Tebani.
    In ogni caso, nessuno di questi racconti sembra conciliarsi con la testimonianza di Eschine secondo cui, dopo l'assassinio di Alessandro II, Filippo si trovava in Macedonia assieme al fratello, re Perdicca III, e che Euridice, loro madre, li presentò al generale ateniese Ificrate allo scopo di ottenere la sua protezione contro Tolomeo di Aloro.
    In merito a tale episodio, l'insigne storico gallese, Connop Thirwall, ha affermato che Pelopida, a seguito dell'alleanza tra Euridice e Ificrate, marciò una seconda volta in Macedonia ove riuscì a garantire un'accordo di compromesso: Tolomeo avrebbe mantenuto sul trono Perdicca III o, avrebbe perso l'appoggio tebano, mentre Filippo sarebbe finito come ostaggio a Tebe.

    Esilio a Tebe e ritorno in Macedonia
    A Tebe, Filippo visse per diversi anni riuscendo ad apprendere quanto più gli interessava, la lingua, i costumi, la politica e, soprattutto, le tattiche militari.
    Secondo alcuni autori, tra questi Diodoro, Filippo fuggì in Macedonia nel 360 a.C., quando Perdicca III morì in battaglia contro gli Illiri; Speusippo, al contrario, afferma che Platone, con la mediazione di Eufraneo di Oreo, aveva convinto Perdicca III ad investire il fratello minore del governo di Elimea, un principato in Macedonia.
    Giunto ad Elimea, Filippo dovette reprimere la rivolta di un certo Derda che, in rivolta contro Perdicca, si era proclamato re: Filippo addestrò un esercito di mille uomini, sconfisse e fece Derda in battaglia e conquistò la regione, mentre Derda fuggì.

    Reggente per conto di Aminta IV
    Alla morte di Perdicca durante una campagna contro gli Illiri, nel 360, Filippo prese il potere come tutore del nipote ancora minorenne, Aminta IV in una situazione estremamente precaria.
    Infatti, gli Illiri, galvanizzati dalla morte di Perdicca, si preparavano all'assalto finale, allo stesso tempo, i Peoni continuavano a saccheggiare le province settentrionali, infine, Atene e Tebe intrigavano per conquistare le città costiere, tra tutte Anfipoli, appoggiandosi agli usurpatori ribelli Pausania e Argeo.
    In tale frangente, Filippo non poté fare altro che cedere ad Atene Anfipoli in cambio di una rilevante somma di danaro al fine di concentrare l'intero esercito nel nord mentre all'interno consolidava il proprio ruolo ottenendo l'investitura a re dall'assemblea dell'esercito (359 o 356 a.C.).

    Ascesa al trono
    Appena salito al potere avviò una profonda riorganizzazione dell'esercito e dello stato; a lui è dovuta tra l'altro la famosa falange macedone, punta di diamante del suo esercito. Contemporaneamente, una pace con Atene gli permise di sconfiggere gli Illiri che minacciavano seriamente il regno di Macedonia da quando avevano sconfitto Perdicca III. In seguito, tuttavia, per assicurarsi un accesso al mare conquistò la città di Anfipoli (357) e si impadronì del Pangeo, dove venne fondata la città di Filippi, trovandosi così nuovamente in ostilità con gli Ateniesi.
    Intervenne successivamente nella Terza guerra sacra, scoppiata nel 356 tra le città greche, che si concluse con la pace di Filocrate nel 346, con la quale la Macedonia acquisì una posizione di forza in Grecia. Filippo II acquisì infatti due voti all'interno dell'Anfizionia delfica, sottraendoli ai Focesi, sconfitti nella guerra sacra.

    In Grecia
    Nel 343 concluse un trattato di alleanza con la Persia, con il quale questa rinunciò ad interferire nei territori europei. Sotto la guida di Demostene, la città di Atene, a cui si aggiunse poi Tebe, si ribellò all'egemonia macedone, ma Ateniesi e Tebani furono sconfitti nella battaglia di Cheronea nel 338.
    Filippo si fece quindi promotore della costituzione della Lega di Corinto che riunì le città greche, tranne Sparta. La lega si alleò con la Macedonia e Filippo venne nominato comandante supremo del suo esercito. Con un pretesto, nel 336 un primo corpo di spedizione venne inviato in Asia Minore, sotto la guida dei generali Parmenione ed Attalo, con lo scopo di preparare il terreno per la lotta contro la Persia.

    Morte
    Filippo aveva recentemente divorziato dalla terza moglie Olimpiade, madre del figlio Alessandro, con cui per questo motivo venne a contrasto.
    A Ege, l'antica capitale, durante il banchetto per le nozze della figlia Cleopatra con il fratello di Olimpiade, Alessandro I d'Epiro (336, voluto per la riappacificazione con il figlio), Filippo fu assassinato da un ufficiale delle proprie guardie del corpo, Pausania di Orestide; quest'ultimo era una delle guardie del corpo del re che, secondo le indagini portate avanti da Aristotele, aveva ucciso Filippo poiché era coinvolto in un'intricata serie di amori maschili. secondo Aristotele l'assassinio fosse stato ordinato da un potente santuario greco che vedeva male l'influenza di re Filippo sui santuari.
    Il figlio Alessandro Magno gli successe sul trono e realizzò l'invasione e la conquista della Persia che Filippo aveva pianificato.

    Figli
    • Carano (360 ca - 336): figlio della prima moglie di Filippo, la giovane aristocratica Fila. Fatto uccidere da Alessandro con il pretesto del suo coinvolgimento nella congiura che aveva posto fine alla vita del padre;
    • Cinnane o Cinane (359 ca - 323): figlia di Eudata principessa degli Illiri: madre a sua volta di Euridice, ambiziosa moglie di Filippo III;
    • Arrideo (358 - 317) (futuro re Filippo III di Macedonia): figlio dell'amante Filinna, era disabile mentale;
    • Alessandro Magno (356 - 323) e Cleopatra (354 - 308): figli della terza moglie Olimpiade;
    • Tessalonica (o Tessalonice) (343 - 295) figlia dell'amante Nicesipoli di Ferete;
    • Europa (337 - 336): figlia dell'ultima moglie, Euridice, entrambe fatte uccidere da Olimpia. Alcune fonti suggeriscono che dal matrimonio con Euridice, Filippo abbia avuto anche un maschio, Attalo, ma non è una notizia sicura.

    Da notare che, nell'ambito della successione a Filippo II e delle lotte di potere fra i Diadochi, tutti costoro perirono di morte violenta: fa eccezione proprio Alessandro, probabilmente morto di febbri malariche o tifoidee anche se non mancano congetture di avvelenamento.
    Nel 339 Filippo si sposò con la principessa Meda, figlia di Kothelàs re dei Geti: ovviamente un'alleanza politica. Non risultano figli da questo matrimonio.
    Infine i contemporanei del re consideravano suo figlio anche Tolomeo (nato intorno al 367), collaboratore e intimo amico di Alessandro nonché futuro iniziatore (305) della monarchia d'Egitto con il nome di Tolomeo I Sotere. Sua madre, Arsinoe di Macedonia, era stata infatti concubina del giovanissimo Filippo; era stata poi data in sposa al nobile macedone Lago, secondo la pubblica voce già incinta di Tolomeo. Il sovrano morì anche lui di morte naturale, in tarda età (283).

    La tomba di Filippo II
    La tomba di Filippo II è stata portata alla luce, l'8 novembre del 1977, dall'archeologo greco Manolis Andronikos negli scavi di Verghina, una località vicino a Salonicco. Si considera una delle più grandi scoperte archeologiche del XX secolo. Non tutti gli archeologi tuttavia sono concordi sul fatto che si tratti proprio della tomba di Filippo II (sebbene sia così convenzionalmente chiamata). Molti infatti ritengono si tratti di una tomba di un sovrano macedone successivo, forse Antigono o Cassandro.
    Fonte: WIKIPDIA


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    Messaggio Da APUMA Mer Feb 19, 2014 4:08 pm

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    Messaggio Da APUMA Lun Mar 03, 2014 3:23 pm

    EFESTIONE
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    Efestione, figlio di Amintore (in greco antico Ἡφαιστίων Αμύντορoς, traslitterato in Hefaistìon Amýntoros; Pella, ca. 356 a.C. – Ecbàtana, 324 a.C.), è stato un nobile antico macedone, per quanto di probabile ascendenza ateniese, e generale nell'esercito di Alessandro Magno. Egli fu "... di gran lunga il più caro di tutti gli amici del re, allevato alla pari con lui e custode di tutti i suoi segreti." La loro amicizia durò tutta la vita e fu paragonata, da altri, ma prima ancora dai due stessi interessati, a quella, mitica, tra Achille e Patroclo.
    La sua carriera militare fu di notevole rilievo: membro e poi capo della guardia del corpo (i sette somatofylakes) di Alessandro Magno, egli passò in seguito al comando della cavalleria degli eteri e gli furono affidati molti altri compiti di primissimo piano durante tutto il decennio della campagna asiatica di Alessandro, ivi comprese (e certamente non meno importanti) missioni diplomatiche, opere di attraversamento di grandi fiumi, assedi e fondazione di nuovi insediamenti abitativi. Oltre a tali sue attività militari, ingegneristiche e politiche, egli fu in corrispondenza con i filosofi Aristotele e Senocrate, e sostenne attivamente la politica di Alessandro mirante all'integrazione tra greci e persiani. Il re ne fece alla fine il proprio comandante in seconda, conferendogli la carica di chiliarca dell'impero, e lo volle membro della famiglia reale dandogli in sposa Dripetide, sorella minore della sua seconda moglie Statira, figlie entrambe di Dario III di Persia. Al momento della sua morte improvvisa ad Ecbatana (l'odierna Hamadan), Alessandro fu sopraffatto dal dolore e volle interpellare l'oracolo di Zeus-Ammone, nell'oasi libica di Siwa, al fine di attribuire uno status divino all'amico defunto, ed Efestione fu conseguentemente onorato come un eroe. All'epoca della sua propria morte, avvenuta soltanto otto mesi dopo, Alessandro stava ancora progettando l'edificazione di grandi monumenti per celebrare la memoria del compagno della sua vita.

    Giovinezza e educazione
    L'età esatta di Efestione non è stata tramandata: nessuna sua biografia fu mai scritta probabilmente anche in dipendenza dal fatto che Alessandro gli sopravvisse per pochissimo tempo, e gli altri diadochi, duramente impegnati nella lotta per la spartizione dell'enorme eredità, non avevano interesse alcuno a celebrare altri che se stessi. Secondo la maggioranza degli studiosi, l'età di Efestione non doveva essere molto differente da quella di Alessandro ed è quindi possibile presumere che egli fosse nato intorno al 356 a.C.: si narra che egli diventò paggio alla corte macedone nel 343, seguendo la sorte comune a tanti altri rampolli dell'aristocrazia, ed è quindi probabile che l'incontro con il futuro conquistatore abbia avuto luogo in questo periodo. Uno dei pochi aneddoti relativi alla giovinezza di Efestione lo si deve al Romanzo di Alessandro, dove, in relazione alla favolistica partecipazione del futuro re di Macedonia alla corsa dei carri delle olimpiadi, si legge che “... un giorno quando Alessandro aveva quindici anni [...] navigando con Efestione, suo amico, raggiunse con facilità Pisa [...] e se ne andò a spasso con” lui. Il fatto che sia citata l'età esatta di Alessandro fornisce un indizio ulteriore sull'educazione di Efestione, in quanto, a quell'età, Alessandro si trovava con i suoi compagni nella località macedone di Mieza a studiare con Aristotele, e, sebbene il figlio di Amintore non venga mai esplicitamente citato tra essi, la sua stretta amicizia con l'allora quindicenne futuro re di Macedonia suggerisce che anch'egli vada, con tutta probabilità, annoverato tra gli allievi di Aristotele. Ancora più significativo a questo proposito è il fatto che il nome di Efestione sia stato in seguito inserito in un elenco di corrispondenti del grande filosofo. Le lettere non ci sono pervenute, ma il fatto che le si citi in un elenco storico fa supporre che il loro contenuto dovesse essere di qualche rilievo: Efestione evidentemente aveva ricevuto un'educazione di tutto rispetto e tale da indurre Aristotele ad intrattenere con lui una non facile corrispondenza attraverso l'impero in via di espansione di Alessandro Magno.
    Alcuni anni dopo le lezioni di Mieza, il nome di Efestione non compare nell'elenco dei diversi amici di Alessandro che furono esiliati da Filippo II di Macedonia in esito al fallito tentativo del giovane principe di sostituirsi al fratellastro Arrideo come pretendente alla mano della figlia del signore di Caria, Pixodaro: c'è da rilevare, comunque, che gli esiliati, Tolomeo, Nearco, Arpalo, Erigio e Laomedonte di Mitilene erano in genere più anziani di Alessandro, Erigio addirittura di circa un quarto di secolo, mentre Efestione era un suo coetaneo e quindi la sua influenza poteva non essere ritenuta altrettanto sospetta da Filippo. In ogni caso, quale che sia stata la sua opinione sull'intero affare, Efestione, al pari di molti altri compagni d'infanzia di Alessandro, non fu inviato in esilio.
    Per concludere, comunque, se della fanciullezza e dell'educazione di Efestione si riesce a ricostruire davvero molto poco, ciò che si riscontra vale ad accreditare quanto si sa della sua vita successiva: la sua amicizia con Alessandro fu di lunga durata, così come la sua permanenza alla corte di Pella, dove egli anche condivise la stessa educazione del futuro Gran Re di Grecia ed Asia. Con un inizio così promettente, l'età e l'esperienza avrebbero poi contribuito a fare, un giorno, di Efestione figlio di Amintore, l'uomo più potente dell'impero di Alessandro, secondo solo al re medesimo.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Lun Mar 03, 2014 3:31 pm

    Carriera
    Avendo condiviso il tipo di educazione impartito ad Alessandro, Efestione imparò sicuramente a combattere ed a cavalcare sin da giovanissima età ed ebbe probabilmente il primo assaggio di vita militare durante la campagna danubiana di Filippo II nel 342 a.C., o nella battaglia di Cheronea del 338 a.C., quando egli non aveva neppure vent'anni, ma il suo nome non viene ancora menzionato negli elenchi degli ufficiali di alto rango durante le battaglie della campagna danubiana di Alessandro nel 335 a.C., o nella prima fase dell'invasione della Persia (così come, del resto, quelli degli altri amici di gioventù del re).
    La prima volta che il nome di Efestione compare nei resoconti bellici è in occasione di una missione politica di notevole importanza: dopo la battaglia di Isso (333 a.C.), mentre Alessandro procedeva verso sud lungo la costa fenicia, la città di Sidone si arrese al re macedone e ad Efestione venne addirittura dato "... incarico di nominare re quello dei Sidonii che egli considerasse il più meritevole di tale alto ufficio". Allora egli assunse le informazioni del caso e prescelse un uomo, Abdalonimo, bensì di lontana ascendenza reale, ma la cui integrità lo aveva ridotto a lavorare da giardiniere. La popolarità della scelta a Sidone ed il valore successivamente dimostrato dal prescelto deporrebbero in effetti a favore di notevoli capacità di discernimento da parte del giovane macedone.
    Dopo l'assedio e l'espugnazione di Tiro (332 a.C.), Alessandro affidò ad Efestione il comando della flotta, con l'incarico di seguire la costa facendo rotta a sud verso Gaza, il loro prossimo obiettivo, mentre lui stesso proseguiva via terra alla testa dell'esercito. Il compito di Efestione non era dei più semplici, in quanto quella affidatagli era una flotta raccogliticcia formata dal naviglio di svariati eterogenei alleati che andavano tenuti insieme con molta pazienza e con molta energia. La flotta trasportava le macchine da guerra indispensabili per la conduzione dell'assedio, le quali dovettero essere scaricate con mezzi di fortuna, trasportate su un terreno accidentato ed infine opportunamente rimontate.
    Secondo Andrew Chugg, che cita la testimonianza di Marsia di Pella, uno degli amici di Alessandro, quale riportata da Arpocrazione nel II secolo d.C., e che trova comunque sostanziale conferma per essa in un'orazione di Eschine contemporanea ai fatti, Efestione potrebbe poi essere stato coinvolto, durante la successiva permanenza in Egitto, in un complesso gioco diplomatico, fungendo da intermediario tra Demostene, capo del partito antimacedone ad Atene, ed Alessandro. Egli infatti risulta essere stato avvicinato da un messo del politico ateniese con lo scopo probabile di esaminare la possibilità di una qualche riconciliazione. I termini esatti della questione, e del ruolo in essa svolto da Efestione, non sono noti, ma l'inattività di Atene durante la successiva guerra proclamata dal re di Sparta, Agide III, parrebbe deporre a favore di un esito positivo dei contatti. Chugg conclude notando che, "se Efestione riuscì a persuadere Alessandro a raggiungere un accomodamento con Demostene in questo critico frangente, come sembrerebbe probabile dalle circostanze, allora egli fu responsabile in misura significativa del salvataggio della situazione in Grecia per la Macedonia, evitando che la rivolta di Agide si allargasse ad Atene ed ai suoi alleati".
    È quasi certo che, al ritorno dall'Egitto, fu Efestione a guidare l'avanguardia macedone inviata a costruire ponti sull'Eufrate in modo da rendere possibile il passaggio per l'esercito di Alessandro. Dario III di Persia inviò un proprio satrapo, Mazeo, ad occupare la riva opposta del fiume mentre il genio macedone era all'opera nella costruzione dei ponti. Mazeo, dopo aver abbandonato, abbastanza inopinatamente, la sua posizione sull'Eufrate, consentendone l'attraversamento ad Alessandro, sarebbe stato di lì a poco, nella battaglia di Gaugamela (331 a.C.), quel comandante dell'ala destra persiana che gettò alle ortiche una quasi certa vittoria abbandonando la zona che doveva tenere, e sarebbe divenuto in seguito il fidato satrapo di Babilonia, in nome di Alessandro. Lo storico britannico Robin Lane Fox ha buon gioco nell'avanzare l'ipotesi, molto verisimile, che Efestione possa aver allacciato contatti diplomatici con Mazeo durante il confronto sull'Eufrate per saggiarne la disponibilità a cambiare bandiera: "È presumibile che la battaglia di Gaugamela sia stata vinta in parte sulle rive dell'Eufrate e che la restaurazione di Mazeo [come satrapo di Babilonia] sia stata, più che un atto di magnanimità, un compenso pattuito in precedenza".
    È in occasione di Gaugamela che viene menzionato per la prima il rango di Efestione quale "... capo dei somatofìlakes" (σωματοφύλακες, guardie del corpo) di Alessandro. Non si trattava dello squadrone reale, chiamato "àghema" (ἅγημα), incaricato di proteggere il re durante le battaglie (all'epoca probabilmente comandato da Clito), ma di un piccolo gruppo di sette stretti compagni di Alessandro ai quali era specificamente attribuito l'onore di combattere a fianco del re. Efestione fu certamente nel vivo del combattimento insieme ad Alessandro, giacché Arriano racconta che fu ferito, e Curzio Rufo precisa che si trattò di una ferita di lancia ad un braccio.
    Dopo Gaugamela si registrano i primi indizi della volontà di Alessandro di avviare un'azione di integrazione con i Persiani, e della condivisione da parte di Efestione di questa politica, così impopolare tra i Macedoni. Si racconta, in particolare, che una sera, a Babilonia, Alessandrò notò una nobildonna locale mentre veniva spinta, contro la sua dignitosa ritrosia, ad esibirsi in spettacolo per la truppe vincitrici. Egli non solo ordinò che fosse liberata e che le fossero restituiti i beni, ma "... il giorno seguente dette incarico ad Efestione di far portare tutti i prigionieri alla reggia. Qui, dopo aver esaminata la nobiltà di ciascuno, fece separare dalla massa quelli che emergevano per estrazione sociale". Alessandro si era accorto che i nobili persiani venivano trattati con poca dignità e voleva porvi rimedio. Che egli scegliesse Efestione per aiutarlo, dimostra che poteva far conto sul tatto e sulla capacità di comprensione del suo giovane amico. Tuttavia Alessandro poteva appoggiarsi su Efestione anche quando si trattava di mettere in campo fermezza e decisione. In occasione di un complotto contro la sua vita nel 330 a.C., il possibile coinvolgimento di un ufficiale di alto rango come Filota, provocò molta preoccupazione, ma fu proprio Efestione, insieme a Cratero e a Ceno, ad insistere perché si passasse alla tortura, di prammatica in queste occasioni, quando si volessero scoprire tutti i retroscena, ed anzi ad occuparsene personalmente.
    Dopo l'esecuzione di Filota, Efestione, pur non avendo precedente esperienza in materia, fu nominato comandante (ipparco) —al fianco dell'esperto Clito, come secondo ipparco— della cavalleria degli eteri, posizione precedentemente occupata dal solo Filota. Questa doppia nomina fu un modo per soddisfare due differenti tendenze che andavano rafforzandosi nell'esercito, l'una, impersonata da Efestione, largamente favorevole alla politica di integrazione portata avanti dal re, l'altra, sostenuta in particolare dai reduci dei tempi di Filippo e ben rappresentata da Clito, pervicacemente refrattuaria nei confronti del mondo persiano. La cavalleria si trovò benissimo sotto il nuovo comando e si mostrò all'altezza delle nuove incombenze attribuitele, dalle inusuali tattiche necessarie contro i nomadi Sciti, alle iniziative assunte nel 328 per combattere le rivolte nelle steppe dell'Asia centrale. L'esercito mosse da Balkh, capoluogo della Battria, in cinque colonne, spiegando la sua azione per le valli tra l'Amu Darya e il Tana, con lo scopo di pacificare la Sogdiana. Efestione comandava una delle colonne e, dopo il suo arrivo a Samarcanda (chiamata dai greci, Marakanda), egli si occupò della colonizzazione della regione.
    Nella primavera del 327 a.C., l'esercito si mosse alla volta dell'India, e Alessandro divise le suo forze, guidandone personalmente una parte a nord, attraverso la valle dello Swat (allora chiamata, Uḍḍiyana), ed affidando l'altra ad Efestione e a Perdicca perché la conducessero attraverso il Passo Khyber. Gli ordini di Efestione erano di "... conquistare, con la forza o con la diplomazia, tutti i territori sulla loro marcia, e, una volta raggiunto l'Indo, di predisporre quanto necessario per l'attraversamento". Si trovavano allora in un territorio sconosciuto, i cui orizzonti politici e geografici non erano familiari, ed Efestione riuscì comunque ad arrivare sull'Indo dopo aver conquistato tutto il territorio attraversato, ivi compresa la città di Puskalavati che sopportò un assedio di trenta giorni e il cui governatore fu quindi regolarmente messo a morte come di regola succedeva a chi si opponeva manu militari alla conquista macedone. Una volta sull'Indo, Efestione procedette alla costruzione delle barche e del ponte necessari per l'attraversamento. Alessandro ebbe in ripetute occasioni la necessità di dividere le sue forze e il comando fu, di volta in volta, affidato a diversi degli ufficiali di più alto rango, ma appare che Efestione venisse scelto quando gli obiettivi non erano perfettamente chiari fin dall'inizio e Alessandro sentiva quindi il bisogno qualcuno in grado di compiere scelte autonome, ma conformi alle esigenze generali della spedizione.
    Efestione prese parte ad una memorabile carica di cavalleria nella battaglia sul fiume Idaspe (326 a.C.), e poi, quando l'esercito iniziò il suo viaggio di ritorno, gliene fu affidata di nuovo una metà, incluse truppe di élite e duecento elefanti, perché la guidasse via terra a sud-ovest lungo le rive dello stesso Idaspe. Il resto dell'esercitò, comandato direttamente da Alessandro, viaggiò per nave, sul fiume, con una flotta la cui costruzione era stata finanziata dai più eminenti cortigiani. Arriano colloca Efestione al primo posto tra questi trierarchi ad honorem, ad indicare la posizione di preminenza che egli aveva ormai acquisito a corte. Al momento di entrare in territorio ostile, dopo che la flotta fluviale era stata danneggiata dalle rapide, Alessandro decise di dividere di nuovo le sue forze, questa volta in tre parti, ed Efestione fu incaricato di assumere la guida di quanto rimaneva della flotta e di "proseguire la navigazione per tagliare la strada ai fuggiaschi", mentre Alessandro avrebbe seguito via terra con le forze combattenti, e Tolomeo condotto, in retroguardia, salmerie ed elefanti. Nell'assalto alla fortezza di Multan, però, Alessandro fu ferito in maniera molto grave al petto, con probabile interessamento del polmone e, questa volta, Efestione dovette assumere il comando di fatto della spedizione almeno nella prima fase del viaggio verso il mare lungo il corso dell'Indo. Giunti sulla costa, egli organizzo la costruzione di una fortezza e di un porto per le navi sul delta del fiume (Pattala).
    Efestione seguì Alessandro nel successivo disastroso attraversamento del deserto del Makran, nella zona costiera dell'attuale Belucistan, durante il quale l'invitto esercito macedone fu duramente decimato insieme a tutto il suo ingente seguito di civili, e dopo l'arrivo disperato a Susa, egli fu decorato per il suo valore. Dopo di allora, non avrebbe combattuto mai più, restandogli ormai soltanto pochi mesi di vita, e, dopo essere salito al grado di vicecomandante militare di fatto di Alessandro, egli acquisì invece un ruolo formale di vice del re nella sfera civile, del resto probabilmente molto più a lui consentanea di quella militare, e fu nominato "chiliarca" (termine greco per il persiano hazarapatish) dell'impero, una sorta di Gran visir, secondo soltanto al re.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Lun Mar 03, 2014 3:55 pm

    Relazioni personali
    Molto poco si sa delle relazioni personali di Efestione, a parte il suo rapporto, eccezionalmente stretto, con Alessandro Magno. Questi era una figura straordinaria e carismatica che ebbe molti amici, ma nessuno paragonabile con Efestione: la loro fu un'amicizia a tutta prova, che si era forgiata nella fanciullezza, e che sarebbe poi durata oltre l'adolescenza, passando indenne attraverso l'ascesa al trono di Alessandro, la durezza delle campagne militari, le lusinghe della vita di corte e anche attraverso i loro matrimoni. Il loro vecchio maestro, Aristotele, riferendosi al rapporto tra i due, parlò di "... una sola anima dimorante in due corpi".
    Che anche loro stessi considerassero tale la loro amicizia, è dimostrato da un episodio avvenuto all'indomani della battaglia di Isso e riportato concordemente da Diodoro Siculo, Arriano, e Curzio Rufo. Secondo i loro racconti, Alessandro ed Efestione si recarono insieme a visitare la famiglia reale di Dario III che era stata catturata alla fine della battaglia, con l'intenzione di rassicurare sulla loro sorte le regine prigioniere. Al loro ingresso nella tenda, le nobildonne fecero atto d'onore alla maniera persiana nei confronti dell'aitante Efestione, molto bello e sicuramente più alto di Alessandro, prendendolo per il re. Messa immediatamente in qualche modo sull'avviso, la regina madre Sisigambi, si gettò ai piedi di Alessandro chiedendo perdono dell'errore, ma il re la rincuorò dicendole: "Non vi siete sbagliata, madre, giacché anche lui è Alessandro". Il loro affetto reciproco non fu in alcun modo tenuto segreto, come è confermato dalle loro stesse parole. Efestione, rispondendo ad una lettera della madre di Alessandro, Olimpiade, ebbe modo di scrivere: "... Voi sapete che Alessandro significa per noi più di ogn'altra cosa". Arriano riferisce che il re, dopo la morte di Efestione, lo definì "... l'amico che valutavo come la mia stessa vita". Paul Cartledge descrive la loro intimità dicendo: "Alessandro sembra in affetti aver fatto riferimento ad Efestione come al suo alter ego".
    La loro amicizia si tradusse anche in una stretta collaborazione operativa; in tutto ciò che intraprese Alessandro si trovò Efestione sistematicamente al fianco. I due lavorarono molto bene insieme e, se si studia la carriera di Efestione, si riscontra facilmente la traccia di una costante e crescente fiducia di Alessandro nei suoi confronti. Con l'inizio della spedizione in India, dopo la scomparsa di generali della vecchia generazione, si registrarono tra gli ufficiali della nuova esempi di tradimento, di mancata condivisione delle aspirazioni di Alessandro per una crescente integrazione dei Persiani nell'esercito, e anche di semplice incompetenza. Ripetutamente, quando Alessandro si trovò nella necessità di dividere le sue forze, ne affidò una parte ad Efestione, magari affiancandolo con qualcuno fornito di maggiori competenze militari, ben sapendo che in lui trovava una persona di indiscutibile lealtà, che capiva e condivideva dal profondo le sue aspirazioni e che, non ultimo, era anche capace di portare a buon fine i compiti affidatigli.
    Efestione partecipò sempre, in prima fila, alla riunioni di consiglio che il re regolarmente teneva con i suoi principali ufficiali, ma fu l'unico con il quale Alessandro si confrontava anche in privato esponendogli i suoi pensieri reconditi, le sue speranze, i suoi progetti nascosti. Curzio Rufo sostiene che Efestione era compartecipe di tutti i suoi segreti, mentre Plutarco descrive l'occasione in cui Alessandro cercò di imporre, in una sorta di banchetto di prova, l'estensione anche ai Greci dell'obbligo di tributare al re, alla maniera persiana, il tipo di saluto definito proskýnesis (προσκύνησις, italianizzato nel raro proscinèsi), e insinua che Efestione era l'unico preventivamente al corrente della cosa e probabilmente l'organizzatore stesso del banchetto e di tutta la cerimonia che in esso si doveva celebrare.
    Con il loro ritorno in Persia, Efestione, per l'incarico di chiliarca affidatogli, divenne ufficialmente, dopo esserlo stato a lungo di fatto, la seconda autorità dell'impero, ed anche cognato di Alessandro. Hammond riassume assai bene la loro relazione pubblica: "All'epoca della sua morte Efestione deteneva il più alto incarico di comando militare, quello della cavalleria degli eteri, ed era stato ripetutamente vice di Alessandro nella gerarchia della corte asiatica, assumendo infine l'incarico di chiliarca che era stato di Nabarzane sotto Dario III. In questo modo Alessandro onorò Efestione sia come il più stretto degli amici, sia come il più insigne dei suoi marescialli di campo".
    È stato suggerito che, oltre che intimi amici, Alessandro ed Efestione fossero anche amanti. Nessuna delle storie antiche pare affermarlo esplicitamente e, al tempo in cui quelle pervenuteci furono scritte—almeno tre secoli dopo—si guardava ai rapporti omosessuali con meno favore che non nella Grecia antica e si era già iniziato il processo di cancellazione del ruolo di Efestione dalla storia, processo che è poi continuato, sia pure in modo intermittente, fino all'epoca moderna. Eppure Arriano descrisse in maniera molto significativa l'occasione in cui Alessandro ed Efestione vollero identificarsi solennemente con Achille e Patroclo, che l'opinione pubblica del tempo, Platone ed Eschilo per primi, riconosceva essere stati amanti. L'episodio accadde all'inizio della spedizione in Asia, quando Alessandro condusse un contingente militare a visitare Troia, palcoscenico degli eventi narrati nella sua amata Iliade. Egli corse nudo, insieme ai compagni, alle tombe degli eroi e depose una corona di fiori sul sepolcro di Achille, mentre Efestione faceva lo stesso con quello di Patroclo. Arriano, molto discretamente, non trae alcuna conclusione, ma Robin Lane Fox, scrivendo nel 1973, sostiene: "Era un tributo assai notevole, reso in maniera spettacolare, ed è anche la prima volta che nella carriera di Alessandro viene menzionato Efestione. Già i due erano in intimi rapporti, e li chiamavano Patroclo e Achille. Il paragone sarebbe durato sino alla fine dei loro giorni, a indicare la loro relazione amorosa, perché ai tempi di Alessandro era comunemente ammesso che Achille e Patroclo fossero legati da un rapporto che Omero non ha mai menzionato direttamente", pur se, da una semplice lettura del ventitreesimo canto dell'Iliade, è difficile non rilevare, anche senza l'ausilio della psicanalisi, come le parole pronunciate dall'ombra di Patroclo o quelle di Achille, così come i suoi comportamenti, dimostrino un evidente carattere non semplicemente amicale, per quanto profondo, ma tradiscano in effetti un sostrato di carattere erotico, seppur non dichiaratamente sessuale.
    Efestione e Alessandro crebbero in un tempo e in un ambiente in cui i rapporti omosessuali venivano guardati come perfettamente normali, ma il modello seguito da tali rapporti era differente da luogo a luogo. Gli scrittori romani e quelli posteriori, assumendo come punto di riferimento il modello ateniese, hanno avuto la tendenza a dare per assunto o che i rapporti amorosi tra i due fossero stati limitati all'adolescenza ed in seguito lasciati perdere, o che uno dei due fosse più anziano, e quindi si comportasse da erastès (amante) mentre il più giovane faceva da erómenos (amato).
    La prima tesi ha continuato ad andare per la maggiore fino ai giorni presenti, con scrittori di fiction, come Mary Renault, e storici professionali, come Paul Cartledge, tra i sostenitori. Quest'ultimo ha affermato: "Corse voce — e per una volta la diceria fu sicuramente corretta — che lui [Efestione] e Alessandro fossero stati un tempo più che soltanto buoni amici". Eliano fa invece propria la seconda ipotesi, laddove, nel descrivere la visita a Troia, usa un'espressione di questo genere: "Alessandro pose una ghirlanda sulla tomba di Achille ed Efestione una su quella di Patroclo, volendo con ciò significare che era l'erómenos di Alessandro, così come Patroclo lo era stato di Achille".
    Tuttavia, ciò che era di casa ad Atene e nell'Attica, non lo era necessariamente anche in ambiente dorico e in Macedonia, dove, come dice Lane Fox, "... si pensava e anzi ci si aspettava che i discendenti dei Dori fossero apertamente omosessuali, tanto più se appartenenti alla classe dirigente; per di più i re macedoni avevano lungamente insistito sulla loro pura stirpe dorica". E ciò non era frutto di una tendenza à la mode, ma apparteneva all'intrinseco modo d'essere dorico, e quindi macedone, ed aveva assai più a che fare con il Battaglione sacro di Tebe (o con le usanze degli Spartiati o dei Cretesi), che non con Atene. Alla luce di quanto sopra non deve sorprendere che ci siano indizi che il loro rapporto amoroso sia durato per tutta la vita. Luciano, nella sua opera Pro lapsu inter salutandum (In difesa di un lapsus nel salutare), racconta di un mattino in cui Efestione si espresse in un modo che dava ad intendere che egli avesse passato la notte nella tenda di Alessandro; Plutarco descrive l'intimità esistente tra i due raccontando che Efestione aveva l'abitudine di leggere le lettere di Alessandro insieme a lui, o che una volta che gli capitò di trovare aperta una lettera riservata di Olipiade, il re gli sigillò idealmente le labbra poggiandovi sopra il suo anello, ad indicare che il contenuto della missiva doveva restare segreto; last but not least, il filosofo Diogene, in una lettera a lui attribuita e scritta ad Alessandro quand'egli era già un uomo fatto, lo accusò, con la consueta brutalità, di lasciarsi comandare "... dalle cosce di Efestione".
    Nessun'altra circostanza mostra meglio la natura e la durata del loro rapporto, se non il dolore sovrumano di Alessandro al momento della morte dell'amico. Come dice Andrew Chugg, "... è sicuramente incredibile che la reazione di Alessandro alla morte di Efestione possa significare altro se non la più stretta delle relazioni immaginabili". I molti e svariati modi, sia spontanei che intenzionali, in cui Alessandro esternò la sua sofferenza, sono illustrati in dettaglio più oltre, ma, con riferimento alla natura del loro rapporto, uno si eleva sugli altri per significato: Arriano narra che il re "... si gettò sul corpo dell'amico e giacque colà in lacrime per quasi tutto il giorno, rifiutandosi di staccarsi da lui finché non fu trascinato via a forza dai suoi etèri".
    Un amore così totalizzante lascia spesso poco spazio ad altri sentimenti. Efestione aveva un amante che era anche il suo migliore amico, il suo re, il suo comandante, e non fa quindi meraviglia che non ci sia giunta notizia di altri grandi affetti od amicizie in vita sua. Non ci sono neppure indizi, tuttavia, che egli fosse meno che popolare e benvoluto nel gruppo dei compagni e degli amici del re, che erano cresciuti insieme ed avevano insieme lavorato così bene per tanti anni. È possibile che egli fosse molto vicino a Perdicca, dato che fu in collaborazione con lui che guidò la missione verso l'Indo durante la quale fu espugnata Puskalavati, ed, all'epoca, la sua posizione accanto ad Alessandro gli avrebbe consentito, quanto meno, di escludere compagni di avventura sgraditi. I due raggiunsero tutti gli obiettivi che erano stati posti alla spedizione, cosa che indica che lavorarono bene insieme e che Efestione trovò nell'incontenibile Perdicca un compagno congeniale. Va anche notato che furono i loro due reggimenti di cavalleria ad essere prescelti da Alessandro per l'attraversamento del fiume Idaspe, prima della battaglia contro il re indiano Poro. In quell'occasione il superbo lavoro di squadra si sarebbe rilevato di suprema importanza.
    Sarebbe tuttavia errato dedurre da quanto sopra che Efestione fosse amato ed apprezzato da tutti. Al di fuori della ristretta cerchia dell'alto comando macedone, anch'egli aveva i suoi nemici, e ciò risulta chiaro dal commento di Arriano sul dolore di Alessandro: "Tutti gli scrittori sono stati d'accordo che esso fu grande, ma il pregiudizio personale, a favore o contro sia Efestione che Alessandro stesso, ha diversamente colorito i resoconti di come lui lo esternò".
    Tuttavia, date le fazioni e le gelosie che tendono a riprodursi in ogni corte, e dato che Efestione era enormemente vicino al più grande, forse, dei monarchi che il mondo occidentale abbia mai conosciuto, va messo in rilievo quanto poca inimicizia egli abbia saputo, alla fine, destare. Ancora Arriano fa menzione di una lite con il segretario di Alessandro, Eumene, ma, a causa di una pagina mancante nel manoscritto del testo, non conosciamo i dettagli della vicenda, se non che Efestione fu alla fine indotto, di mala voglia, a fare pace. È però Plutarco (che dedicò ad Eumene una delle sue Vite parallele) a ricordare che si trattò della questione di un alloggiamento concesso a un suonatore di flauto, cosa che fa pensare che la lite, esplosa su inezie, fosse in effetti espressione di un più profondo antagonismo covato nel tempo. Ciò che motivò l'antagonismo, non è dato di sapere con certezza, ma non è difficile immaginare che le competenze o, a seconda dei punti di vista, le ingerenze, del nuovo chiliarca possano ben aver indispettito il rodato segretario del re.
    Soltanto in un caso si sa che Efestione si scontrò con uno dei vecchi ufficiali degli etèri, e fu con Cratero. In questo caso è più facile arguire che il risentimento potesse essere reciproco, giacché quegli era uno degli ufficiali che si opponevano più vivacemente alla politica di Alessandro tendente all'integrazione tra Greci e orientali, laddove Efestione era uno strenuo sostenitore di essa. Plutarco racconta in questo modo la storia: "Per questa ragione un sentimento di ostilità nacque e si approfondì tra i due ed essi vennero spesso ad aperto conflitto. Una volta, durante la spedizione in India, incrociarono addirittura le spade e si scambiarono dei colpi ...". Alessandro, che stimava moltissimo anche Cratero, come ufficiale estremamente competente, si vide costretto ad intervenire ed ebbe pubblicamente parole molto pesanti per entrambi. Il fatto comunque che lo scontro fisico si fosse prodotto, sta a indicare la misura in cui la questione dell'integrazione faceva ribollire gli animi, ed anche la misura in cui Efestione, che fu trattato nell'occasione con durezza dal re, identificava le aspirazioni di Alessandro con le proprie. Fu comunque nella primavera del 324 che Efestione dette la prova ultima di questa identificazione, quando accettò (nulla fa pensare meno che di buon grado) di sposare Dripetide, figlia di Dario e sorella di Statira, andata anch'essa contestualmente in moglie ad Alessandro medesimo. Fino a questo momento il nome di Efestione non era mai stato legato ad alcuna donna, né, del resto, ad alcun uomo diverso da Alessandro. Della sua brevissima vita coniugale niente si sa, se non che, al momento della successiva morte di Alessandro, avvenuta a distanza di otto mesi da quella di Efestione, Dripetide ancora piangeva lo sposo a cui era stata unita per soli quattro mesi.
    Per Alessandro sposare una figlia di Dario (e, insieme, come terza moglie, anche Parisatide, figlia e sorella dei precedenti Gran re, Artaserse III e IV) costituì un atto politico importante, che gli consentiva di stringere più fermamente i legami con la classe dirigente persiana, ma, per quanto riguarda Efestione, ricevere in sposa la sorella della nuova co-regina era un'ennesima prova dell'eccezionale stima in cui era tenuto da Alessandro, che lo chiamava così a far parte della famiglia reale stessa. Essi diventavano quindi cognati, ma c'era di più: Alessandro, dice Arriano, "... voleva diventare zio dei figli di Efestione ...", ed è quindi possibile addirittura immaginare che i due sperassero che le rispettive discendenze si potessero un giorno congiungere, e che, alla fine, la corona di Macedonia e di Persia potesse essere portata da un discendente di entrambi.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Lun Mar 03, 2014 4:11 pm

    Morte
    Nella primavera del 324 a.C. Efestione lasciò Susa, dove si erano celebrate le nozze collettive, e seguì Alessandro e l'esercito nella successiva tappa del viaggio di ritorno, ad Ecbatana, la moderna città iraniana di Hamadan. Arrivarono in autunno e fu allora, durante giochi e feste, che Efestione si ammalò. Secondo Arriano, dopo diversi giorni di febbre, dovettero mandare a chiamare Alessandro, che era impegnato nei giochi, perché l'amico si era aggravato, ma il re non fece in tempo e, quando raggiunse la stanza di Efestione, questi era già morto. Plutarco fornisce maggiori particolari: essendo un giovane e un soldato (e quindi un po' sconsiderato), dopo essersi inizialmente sentito male, Efestione ignorò le indicazioni del medico Glaucia che l'aveva messo a digiuno e, non appena questi lo lasciò per recarsi a teatro, mangiò del pollo bollito e ci bevve sopra un bel po' di vino. Lane Fox così conclude il racconto: "La disubbidienza aggravò la malattia che era probabilmente tifoidea e provocava una reazione a ogni brusca immissione di cibo. Tornato il medico trovò il suo paziente in condizioni critiche, e per altri sette giorni la malattia non diede segni di miglioramento... l'ottavo giorno, mentre la folla guardava la corsa dei ragazzi nello stadio, arrivò al palco la notizia che Efestione aveva avuto un grave ricaduta. Alessandro si precipitò al suo letto, ma, quando arrivò, era troppo tardi"..
    La subitaneità della morte di un uomo giovane ed in piena forma ha spesso lasciato interdetti gli storici successivi. Mary Renault, ad esempio, ha scritto che una "crisi improvvisa è difficile da spiegare in un uomo giovane, convalescente". La motivazione che sembra più plausibile è che si trattasse, come già detto, di una febbre tifoide, e che il cibo solido abbia perforato un intestino già ulcerato dalla malattia, ma non è comunque possibile escludere altre ipotetiche spiegazioni, prima di tutte quella del veleno.
    La morte di Efestione viene trattata dalle fonti antiche con maggior ampiezza rispetto agli altri eventi della sua vicenda, a causa degli effetti profondi che essa ebbe su Alessandro. Plutarco scrive che "... il dolore di Alessandro fu incontrollabile ...", ed aggiunge che il re ordinò molti segni di lutto, ed in particolare che venissero tagliate criniere e code ai cavalli, che venissero abbattuti i bastioni delle città vicine, e che venissero banditi flauti ed ogni altro tipo di intrattenimento musicale. Oltre alla storia già riportata nel paragrafo precedente sulle immediate manifestazioni di enorme dolore da parte di Alessandro, Arriano ne riferisce anche una differente versione, secondo la quale "... egli giacque disteso sul cadavere tutto il giorno ed poi l'intera notte ..."; racconta inoltre che fece giustiziare il medico, Glaucia, per negligenza, e radere al suolo il tempio di Asclepio, il poco efficace dio della medicina (Alessandro era religiosissimo), e finalmente che si tagliò i capelli in segno di lutto, ardente reminiscenza questa dell'ultimo dono di Achille a Patroclo sulla pira funebre: "... Poiché dunque or tolto/ n'è alla patria il ritorno, abbia il mio crine/ l'eroe Patròclo, e lo si porti seco./ Così detto, alla man del caro amico/ pose la chioma, e rinnovossi il pianto/ de' circostanti ..."
    Un altro segno del fatto che Alessandro guardava ad Achille per cercare ispirazione su come esprimere il suo dolore, lo si può trovare nella campagna che egli condusse di lì a poco, contro la tribù dei Cossei. Plutarco sostiene che il massacro che ne seguì fu dedicato allo spirito di Efestione, ed è plausibile pensare che agli occhi di Alessandro ciò abbia potuto rappresentare il corrispondente del sacrificio da parte di Achille, sulla pira di Patroclo, di "... dodici prestanti figli ..." della nobiltà troiana. Andrew Chugg, raccogliendo un suggerimento della storica dell'arte italiana Linda De Santis, ha anche rilevato come, oltre all'Iliade, Alessandro trovò una seconda fonte di ispirazione ideale nell'Alcesti di Euripide, dove il vedovo Admeto si viene a trovare in una situazione di dolore simile a quella del sovrano macedone, e come le azioni del re di Fere siano riprese e ripercorse da Alessandro (il taglio delle criniere, il divieto di rappresentazioni musicali, ed altro). Questi appare quasi, secondo le considerazioni finali di Chugg, voler "additarci [le] parole uscite dalla penna del suo tragediografo favorito allo scopo di parlare a noi, attraverso i secoli, della profondità dei sentimenti che provava per l'amico defunto. In qualche modo sta affermando che il suo rapporto con Efestione era egualmente stretto come quello di Admeto con Alcesti. Forse ci sta dicendo che Efestione era colui che avrebbe voluto morire per salvarlo, proprio come Alcesti perì per preservare la vita di Admeto".
    Arriano dichiara che tutte le sue fonti concordano che "... per due interi giorni dopo la morte di Efestione Alessandro non toccò cibo e non prestò alcuna attenzione alle sue necessità corporali, ma giacque a letto, ora piangendo disperatamente, ora immerso nel silenzio della sofferenza". Egli dispose un periodo di lutto in tutto l'impero, e, secondo il racconto di Arriano, "molti degli etèri, in rispetto per Alessandro, consacrarono al morto sé stessi e le loro armi ...è/i]". Anche nell'esercito si volle ricordare Efestione e il suo posto di comandante della cavalleria degli etèri fu lasciato vacante, perché Alessandro "[i]... desiderava che esso restasse per sempre legato al nome di Efestione, e così il reggimento di Efestione continuò a chiamarsi nello stesso modo, e l'immagine di Efestione continuò ad essere innalzata davanti ad esso". Alessandro volle infine che, come altri etèri caduti, anche Efestione fosse ricordato con una grande scultura leonina in pietra, una delle tante di cui i Macedoni disseminarono il loro cammino; secondo Lane Fox, il cosiddetto "leone di Hamadan", che ancor oggi viene proposto come una delle attrattive turistiche della città, è proprio ciò che resta (molto poco, per la verità) del monumento funebre del tanto rimpianto compagno di Alessandro.
    Come già accennato nell'introduzione, Alessandro inviò messaggeri all'oracolo di Zeus-Ammone, nell'oasi libica di Siwa, e cioè al santuario da lui più venerato e che aveva anche voluto personalmente visitare, con motivazioni alquanto misteriose, all'epoca della sua permanenza in Egitto. Al dio che egli proclamava come padre (e non soltanto, forse, su un piano ideale o mitico), Alessandro chiedeva se fosse lecito istituire un culto divino per Efestione, ed ebbe la consolazione di sentirsi rispondere che era permesso onorarlo, se non come un dio, almeno come un eroe, e "... da quel giorno in poi vide che il suo amico veniva venerato con gli [appropriati] riti". Egli curò che altari fossero eretti in sua memoria, e la prova che il culto riuscì in qualche modo ad attecchire, la si può riscontrare in una semplice placca votiva che si trova oggi nel Museo Archeologico di Salonicco, e che reca l'iscrizione: "Diogene all'eroe Efestione" (Διογένης Ἡφαιστίωνι ἥρωι).
    Efestione ricevette a Babilonia esequie grandiose, il cui costo fu variamente fatto ammontare dalle fonti ad una somma enorme, che andava dai 10.000 ai 12.000 talenti, che si possono far cautamente corrispondere, in termini moderni, a qualcosa come due-trecento milioni di euro. Alessandro in persona volle guidare il carro funebre per parte del percorso di ritorno verso Babilonia, venendo poi sostituito, per un'altra parte, dall'amico (e futuro successore) di Efestione, Perdicca. A Babilonia si tennero giochi funebri in onore del morto: le gare spaziavano dalla poesia all'atletica e vi presero parte tremila persone, eclissando in tal modo ogni precedente in materia, sia dal punto di vista del costo, che del numero dei partecipanti. La progettazione della pira funebre fu affidata a Stasicrate "... perché — come riferisce Plutarco — questo artista era famoso per le sue innovazioni che combinavano un grado eccezionale di magnificenza, audacia ed ostentazione ...".
    Secondo il progetto, la pira era alta sessanta metri, aveva forma di quadrato largo duecento metri, e doveva essere costruita su sette livelli a scalinata. Il primo livello era decorato con duecentoquaranta quinquiremi dalla prora dorata, fornite ciascuna di due arcieri inginocchiati alti un metro e ottanta, e di guerrieri armati, ancor più alti, divisi da drappi di feltro scarlatto. Al secondo livello erano previste torce di quasi sette metri, con serpenti attorcigliati alla base, ghirlande dorate nella parte centrale ed, in cima, fiamme sormontate da aquile. Il terzo livello prevedeva una scena di caccia, il quarto una battaglia di centauri d'oro, il quinto leoni e tori, anch'essi in oro, il sesto armi macedoni e persiane. Il settimo ed ultimo livello, infine, recava sculture cave di sirene, atte a ospitare, nascosto, il coro incaricato di elevare le lamentazioni funebri. È possibile che la pira non fosse destinata ad essere incendiata, ma che fosse invece intesa a costituire un mausoleo permanente; in tal caso, con tutta probabilità, essa non fu mai ultimata, come si rileva da riferimenti storici a costosissimi progetti lasciati incompleti da Alessandro all'atto della sua morte, alcuni mesi dopo (e mai portati a compimento).
    Un solo possibile tributo restava ancora, ed il suo significato appare definitivo, nella sua semplicità: in occasione della cerimonia funebre a Babilonia, fu dato ordine alle province che il Fuoco reale fosse spento sino alla fine delle celebrazioni. Normalmente questo avveniva soltanto per la morte del Gran Re in persona, ma l'ordine impartito non deve meravigliare: dopo tutto, stando alle parole che il re stesso aveva rivolte anni prima alla madre di Dario, era morto non solo e non tanto il "sostituto e successore" di Alessandro, ma, in un certo senso, "anche" Alessandro medesimo, che poi avrebbe comunque seguito l'amico personalmente di lì a qualche mese.
    Fonte: WIKIPEDIA


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    Messaggio Da APUMA Dom Mar 09, 2014 3:17 pm

    TOLOMEO I

    Tolomeo I Sotere (in greco antico Πτολεμαῖος Σωτήρ, traslitterato in Ptolemàios Sotér) (367 a.C. ca. – 283 a.C.) , diadoco di Alessandro Magno, è stato il fondatore della dinastia tolemaica e il primo re dell'Egitto ellenistico.

    Biografia
    Origini
    Tolomeo Sotere era figlio di Arsinoe di Macedonia e di Lago, ufficiale del re Filippo II di Macedonia. Secondo la storiografia propagandistica filo-tolemaica, Arsinoe era una concubina del re, che la diede in sposa a Lago quando la donna era già incinta. In tal caso, Tolomeo sarebbe figlio illegittimo di Filippo II e fratellastro di Alessandro Magno.

    La scalata al potere
    Alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), Tolomeo ottenne dal reggente Perdicca la satrapia d'Egitto.
    Il primo periodo del regno di Tolomeo I fu dominato dalle guerre tra i vari stati sorti dalla divisione dell'impero macedone. L'obiettivo primario di Tolomeo fu di tenere salda la posizione dell'Egitto, e secondariamente di incrementare i domini egiziani. Dopo aver eliminato Cleomene di Naucrati, sovrintendente alle finanze, in pochi anni assunse il controllo di Libia, Celesiria e Cipro. Quando Antigono I, re della Siria, tentò di riunire l’impero di Alessandro, Tolomeo prese parte alla coalizione contro di lui. Nel 312 a.C. alleato con Seleuco I, il sovrano di Babilonia, sconfisse Demetrio I Poliorcete, figlio di Antigono I Monoftalmo, nella battaglia di Gaza. Antigono era un altro generale di Alessandro Magno e dopo la sua morte era divenuto satrapo di Frigia, Licia e Panfilia.
    Nel 311 a.C. fu conclusa una pace tra i contendenti, ma nel 309 a.C. la guerra scoppiò di nuovo. Tolomeo occupò Corinto, Sicione e Megara, anche se perse Cipro dopo una battaglia navale nel 306 a.C. Antigono tentò poi di invadere l’Egitto, ma non vi riuscì. Nel 305 a.C., consolidato il suo potere, assume il titolo di re d'Egitto. Nel 302 a.C. vi fu un’altra coalizione contro Antigono, alla quale partecipò Tolomeo. Quando Antigono fu sconfitto ed ucciso nella battaglia di Ipso nel 301 a.C., Tolomeo ottenne la Celesiria.
    Dopo varie ribellioni, Cirene fu definitivamente soggiogata verso il 300 a.C. e posta sotto il controllo del figliastro Magas. In seguito Tolomeo non prese parte ad altre guerre, anche se riconquistò Cipro nel 295 a.C.

    Il regno
    Nel 290 a.C. circa, Tolomeo avviò i lavori di costruzione della biblioteca e del museo di Alessandria. Il regno di Tolomeo fu caratterizzato anche dall’introduzione del culto di Serapide. Fece costruire Tolemaide nell'Egitto superiore e pose le basi per un nuovo assetto amministrativo e burocratico del regno, favorendo l'insediamento nello stato di coloni greci e macedoni. Tolomeo scrisse anche una storia delle imprese di Alessandro Magno, che servì da fonte ad Arriano.
    Avendo dato sicurezza alla regione, Tolomeo nel 285 a.C. associò al regno e designò come successore il figlio avuto dalla terza moglie Berenice, Tolomeo Filadelfo, escludendo il primogenito Tolomeo Cerauno, avuto dalla seconda moglie Euridice.
    Tolomeo I Sotere morì nel 283 a.C., all’età di 84 anni, lasciando al figlio un regno stabile e ben governato.
    Fonte: WIKIPEDIA


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